Giovedì 18 Aprile 2024

A proposito della vecchia Hollywood. I Coen giocano con la polvere di stelle

Modelli classici, spirito anarchico: si ride come ai tempi di Lebowski

George Clooney con Joel Coen (Olycom)

George Clooney con Joel Coen (Olycom)

“FIXER” è la parola chiave Era un mestiere della vecchia Hollywood, ma esiste ancora qualcosa di simile: sta a indicare una persona preposta a risolvere problemi senza ricorrere alla legge. Prezioso soprattutto per tenere lontani dai guai costose star che non sapevano badare a se stesse. Insomma una sorta di detective nerboruto senza troppi scrupoli e molte entrature. Ideale protagonista per un film che vuole divertire giocando con il vecchio cinema. E chi se non i geniali fratelli terribili potevano farne un imprevedibile protagonista?    ABBANDONATA la pur suggestiva malinconia di “A proposito di Davis”, i Coen, ormai consacrati (4 Oscar) autori popolar-raffinati della Hollywood postmoderna, tornano alla commedia. In “Hail, Caesar!”, che dopo l’anteprima berlinese di febbraio giungerà sui nostri schermi a marzo come “Ave, Cesare!”, si ride più del solito: vi spira un humour gioioso frutto sì di un’evidente adesione a modelli classici ma anche di una libertà anarcoide che fa pensare a un loro insuperato capolavoro, “Il grande Lebowski”. Anche se non protagonista ritroviamo in questo ultimo film George Clooney immancabile complice delle commedie dei Coen (“Fratello, dove sei?”, “Prima ti sposo, poi ti rovino”, “A prova di spia”) che non hanno esitato a valorizzare (solo) il suo talento comico cucendogli addosso personaggi di bislacchi e sciocchi parolai. In questo caso Clooney è il bell’attore, star alla Gable, che però non ricorda le battute e farfuglia sul set, almeno fino a quando non viene sequestrato a scopo di riscatto.    SIAMO infatti nei primi anni Cinquanta, nell’epoca d’oro di Hollywood, e il film dei Coen ricostruisce, a metà tra parodia e celebrazione, la densissima giornata di un grande studio (MGM?) alle prese con quattro set in cui si girano altrettanti film di prestigio. Un melodramma diretto da Ralph Fiennes, un regista inglese alla Lawrence Olivier (esilarante la sua lezione di dizione a un incerto Alden Ehrenreich), un musical in cui Channing Tatum, in versione Gene Kelly, convince un gruppo di marinai a trascorre l’ultima notte di congedo ballando (“Un giorno a New York”), un’acqua-acrobatica pellicola con Scarlett Johansson al posto di Esther Williams e infine un film storico-biblico dall’enorme investimento finanziario il cui fulcro è proprio George Clooney, antico romano con tanto di armatura e mantello scarlatto che improvvisamente scompare. Chi può evitare lo scandalo, mettere a tacere i pettegolezzi e trarre d’impaccio i produttori preoccupati e infastiditi riportando sul set l’inebetita star se non il miglior fixer di tutta Hollywood? Josh Brolin nei panni di Mannix è un fixer megalomane e paranoico (è un cattolico che si confessa ogni 72 ore) capace però di leggere trame e sciogliere complotti tanto da finire per incarnare lo spirito dei Coen come pochi altri.   È TRASCORSO giusto un quarto di secolo da “Barton Fink” primo racconto sugli studi hollywoodiani. Il cinema dei Coen, già maturo e inquietante al quel tempo, ha aggiunto alla meticolosa ricostruzione una rara capacità di affabulazione. «Vorremmo che gli spettatori vedessero i film contenuti in “Hail, Caesar!” come schegge di quel tempo. Noi quando vedevamo quei film alla tv li rigiravamo a modo nostro in super8». Il loro godimento di allora è il nostro di oggi.