Il dolore della guerra irrompe a Venezia con 'The Cut', film sul genocidio armeno / 6 e mezzo

The Cut inteso come taglio, ma anche massacro, lo strappo inferto a un’intera popolazione da parte di alcune minoranze interne che hanno preso il potere con la forza

Il cast di 'The cut', film sul genocidio armeno di fatih Akin (Ap)

Il cast di 'The cut', film sul genocidio armeno di fatih Akin (Ap)

Di Lara Ferrari

VENEZIA, 31 agosto 2014 - Quando si dice stare sul pezzo. Entrambi i film in concorso passati stamani alla Mostra, The Cut di Fatih Akin e Hungry Hearts di Saverio Costanzo affondano il cuore nell’attualità dei nostri terribili giorni, che si alluda all’Isis o alla guerra in Siria oppure che si vada a toccare un tema complesso e dalle mille implicazioni come la nutrizione al giorno d’oggi, per sé e per i propri figli.

Concentriamoci sul primo. Che si apre simbolicamente su un ferro forgiato nel fuoco. Ovvero il sangue, la guerra, il dolore inflitto dall’uomo su un altro uomo. Già il monito del regista è chiaro: la sofferenza perpetrata dall’uomo sui suoi simili non è destinata ad estinguersi, semmai a moltiplicarsi in milioni di scontri fino al terzo millennio. A Mardin, 1915, ha inizio l’Odissea personale di Nazaret, quando una notte la polizia turca fa irruzione nelle case armene e porta via tutti gli uomini della città per arruolarli, incluso il giovane fabbro (Tahar Rahim, divo in patria, visto ne Il Passato di Farhadi e Il profeta), che viene così separato dalla famiglia. Proprio in questa fase Akin sa di parlare alle coscienze di tutti noi, spettatori inermi davanti all’orrore provocato dalle falangi dello Stato Islamico, che ci arriva ogni minuto con le news dei tg.

Nelle immagini di fortissimo impatto emotivo dell’esodo  del popolo armeno, condotto ai lavori forzati o alla morte nei metodi tristemente noti, avvertiamo la grandezza di un dolore che non troverà mai pace. Una terra di nessuno, desertica e arsa dal sole, che porta a un passo dalla morte anche Nazaret Manoogian, ma che allo stesso tempo gli ridà la vita, attraverso le mani di colui che doveva esserne il carnefice. Come nella figura di una pietà Rondanini, il giovane accoglierà fra le braccia una cognata ormai prostrata da carestia e persecuzione, e porrà fine ai suoi patimenti. Sopravvissuto all’olocausto della sua terra, Nazaret viene a sapere che le sue due figlie sono ancora vive, ma non sa dove. L'uomo decide così di ritrovarle e si mette sulle loro tracce, traducendo dalla metafora alla realtà dei suoi nuovi giorni di scampato al genocidio la sua identità di profugo.

Accolto nell’abitazione di un generoso fabbricante di sapone, ad Aleppo, la ricerca delle sue due ragazze lo porterà dai deserti della Mesopotamia all'Avana, alla Florida e alle desolate praterie del North Dakota. Il viandante, considerato un pezzente o, peggio, carne da macello, incontrerà molte persone diverse: figure angeliche, ma anche incarnazioni demoniache.  Girato in Germania, Francia, Italia, Russia, Canada e Polonia e parlato in inglese, arabo, turco e spagnolo, il lungometraggio è un dramma epico che mette insieme tanti generi cinematografici con una certa disinvoltura, ma in virtù di questa pecca talvolta di eccessiva ridondanza.

The Cut inteso come taglio, ma anche massacro, lo strappo inferto a un’intera popolazione da parte di alcune minoranze interne che hanno preso il potere con la forza. Non nuova la figura dell’individuo solo sul cuore della terra che ostinatamente cerca un famigliare scomparso. Pensiamo soltanto allo schiavo Django di Quentin Tarantino. Rivela il regista: "Mi sono accorto di avere diretto un film epico, un dramma, un’avventura e un western tutti insieme. Il film sarebbe potuto essere ambientato cento anni fa, ma non potrebbe essere più attuale: è un racconto di guerra, oltre a mostrare il potere dell’amore e della speranza che ci permette di raggiungere l’inimmaginabile. The Cut è la conclusione della trilogia su Amore, Morte e Diavolo. Esamina il male che siamo capaci di infliggere agli altri, sia inconsapevolmente sia deliberatamente, evidenziando la sottile linea che spesso separa il bene dal male. The Cut è diventato un film molto personale. Nel tema esplora la mia coscienza e nella forma esprime la mia passione per il mezzo cinematografico”. Lodevole e in certi punti coglie nel segno. Tuttavia, Akin non mantiene del tutto le promesse, laddove crea uno sbilanciamento troppo grosso fra primo e secondo tempo. Se la parte della cacciata degli armeni e dell’esodo è girata splendidamente, il movimentato percorso di scoperta di sé e ricerca delle figlie da parte di Nazaret assomiglia per retorica a certe fiction sudamericane. Qualche risata sboccata alla proiezione della stampa, proprio in coincidenza di queste involontarie cesure. VOTO: 6 e 1/2