La scomparsa di Ward Swingle, portò Bach nella musica jazz

Il musicista americano viveva in Francia, dove fondò nel 1963 gli Swingle Singers. Il gruppo è noto in Italia per la sigla di Superquark

Ward Swingle

Ward Swingle

Londra, 19 gennaio 2015 _  La loro interpretazione dell’Aria sulla quarta corda di Bach è da sempre la sigla del programma televisivo di Piero Angela SuperquarkGli Swingle Singers, da poco divenuti The Swingles, sono uno dei gruppi vocali più celebrati grazie all'attitudine di mescolare vari generi e di ricrearli secondo il loro particolare stile, lo "swingle singing". A far nascere questo gruppo divenuto poi fenomeno mondiale è un signore nato in Alabama e innamoratosi dell'Europa, Ward Swingle. Il musicista americano, 87 anni, è morto oggi a Eastbourne, sulla costa meridionale inglese, dove abita una delle figlie. Swingle da tempo però era parigino di adozione: nella capitale francese viveva dagli anni '50 e fondando poi nel 1963 il gruppo, oggi con base a Londra. Lo comunicano gli stessi componenti dei The Swingles sulla loro pagina Facebook e sul loro sito. I funerali si terranno il 26 gennaio nel piccolo centro inglese di Fairwarp nel Sussex. Per ricordarlo riproponiamo l'intervista che rilasciò in occasione del Maggio Musicale Fiorentino del 2005. 

 

Lei è americano ma tutto iniziò in Francia con i Double Six; mi può dire come? "Sono arrivato in Francia nel 1951 per studiare pianoforte con Walter Gieseking. Avevo sposato una donna francese, ero innamorato di lei e anche (come tanti) di Parigi, ma avevo deciso di restare solo se avessi avuto uno sbocco professionale nella musica. Fortunatamente avevo un po' di esperienza con il jazz che avevo affrontato parallelamente alla classica così ho incominciato a lavorare in uno studio di registrazione come turnista al pianoforte. Ma in quello stesso studio mi fu chiesto di allestire delle parti vocali e di cantarle insieme ad altri come sottofondo a brani di Edith Piaf e di altri interpreti. Fu un'ottima esperienza e soprattutto portava un po' di soldi e questo era molto importante. Iniziò tutto così da questo gruppo di cantanti che diventarono i Double Six".

Fu il primo nucleo degli Swingle Singers, con il suo cognome (contenente la parola swing) che sembrava fatto apposta per lo stile del gruppo. "Sì, fu il prologo dell'avventura che iniziò definitivamente nel 1963 (con il disco Jazz Sebastien Bach) in cui ero il leader e direttore musicale del gruppo, in cui tutti amavamo cantare Bach. Per questo gli fu dato il mio nome. Pensi che c'era solo un gruppo negli Stati Uniti famoso per fare cover di vari brani popolari: fecero un disco che si chiamava Bach Biggest Hits da parte degli Swingle Swingers con un gioco di parole. Vendettero anche qualche copia fino a quando la Philips, con la quale avevamo inciso, ne bloccò la diffusione. Per quanto ci riguarda non pensavamo che il nostro disco avesse un grande ritorno commerciale. Quando cominciò a scalare le classifiche dei dischi negli Usa eravamo sbalorditi. Quarant'anni dopo ancora penso che siamo stati fortunati ad avere questo risultato. Ancora oggi quando si menzionano gli Swingle Singers alcuni dicono "Certo, è il gruppo che canta Bach facendo Doo be doo". È ancora questa l'immagine nonostante tante altre cose fatte: quella di una formazione jazz che fa Bach".

Proprio su questo punto, perché la scelta di Bach? "Penso che non siamo poi stati i primi a notare che la musica di Bach aveva qualcosa di swing da poter tirare fuori. Benny Goodman se ne accorse prima di noi e c'erano tante e variegate trascrizioni della musica bachiana. Per quanto ci riguarda, notai che nelle composizioni bastava cambiarne la cadenza ritmica. Generalmente nella forma classica è accentata la prima nota di una battuta che ne contiene quattro: nel jazz è la terza. Devi darle un po' di peso con il colpo di batteria e così abbiamo fatto. In ogni caso i pezzi sono talmente belli e ben costruiti che non fu difficile adattarvi le voci e affrontare un repertorio molto ricco". Tanto che poi affrontaste Telemann, Mozart, Vivaldi e altri autori, tra cui i romantici. L'arrangiamento aveva sempre la stessa caratteristica? "In molti casi sì; la cosa più importante era quella di essere il più possibile fedeli all'originale e cercare al suo interno le possibilità ritmiche. Questa era la formula nell'affrontare pezzi che mi piacevano da un punto di vista estetico. Da Bach è stata un'evoluzione cronologica fino ai contemporanei quando poi mi sono trasferito in Inghilterra per formare il gruppo inglese".

Prima però il gruppo francese ha inciso Place Vendome con una grande formazione jazzistica come il Modern Jazz Quartet, il cui leader John Lewis era un altro grande fan di Bach. "Incontrai Lewis durante un'estate in cui era venuto in Francia e parlando con lui partimmo con un progetto proprio legato a Bach. Mi ricordo che vennero in studio con noi: uno dei componenti del gruppo, era un grande perfezionista e diceva sempre "buona, ma possiamo farne un'altra" oppure "quella nota è sbagliata, bisogna ricominciare". Stavamo registrando l'Aria dalla Suite in re minore di Bach: ci eravamo divisi le parti e il vibrafonista Milt Jackson doveva improvvisare sul tema. Alla decima volta che registravamo lo stesso brano non sapeva più cosa inventare! Ma al tempo stesso erano tutti molto disponibili e generosi. Fu una bella esperienza".  Torniamo al passaggio in Inghilterra. In quel caso ci fu un cambiamento di rotta musicale. "Sì, perché il gruppo francese era formato, me compreso, da strumentisti che cantavano o meglio che trattavamo la voce come imitazione di uno strumento, usando il microfono e dandole una caratterizzazione molto personale. Quando ho cambiato paese pensavo che se volevo ampliare il repertorio dovevo cercare cantanti che avevano una formazione più classica (anche di tipo madrigalistico e rinascimentale) che jazzistica. Per questo ho abolito la sezione ritmica di contrabbasso e batteria per fare brani classici con la speranza che alcuni compositori scrivessero per noi. Uno di questi è stato il vostro Luciano Berio, anzi è stato il primo". Come lo ha conosciuto? "Prima di tutto penso che lui amasse molto Jazz Sebastien Bach; Aveva scritto molto per la voce della moglie di allora, Cathy Berberian, con continue sperimentazioni ma era attratto dall'idea di utilizzare un gruppo di voci miste. Per questo lui aveva scritto per il gruppo francese, con l'orchestra, un pezzo di grandi dimensioni come Sinfonia nel 1969. Da allora la formazione l'ha eseguita molte volte, l'ultima recentemente alla Cité de la Musique a Parigi. Anche un brano come A-Ronne su testo di Edoardo Sanguineti è stabilmente nel repertorio degli Swingle. C'è poi un altro compositore italiano che ha scritto molto per il gruppo come Azio Corghi, ma ricordo anche un giovane musicista come Pascal Zavaro che ha composto recentemente un brano per le otto voci". 

Sì, e lo presentano nello spettacolo dedicato ai 40 del gruppo insieme alla riproposta dei vecchi arrangiamenti di Bach. "Naturalmente faranno sempre brani di Bach, ma spero che abbiamo sempre voglia di sperimentare e andare avanti, anche se le cose non sempre possono funzionare. In fondo Jazz Sebastien Bach era sperimentale, anche se adesso non lo appare più come una volta".

Perché decise di smettere di cantare con il gruppo che comunque continuava a mantenere il suo nome? "Molto semplice, perché ero stanco di girare. Lo avevo fatto per 22 anni continuando non solo a cantare, ma anche ad arrangiare materiale per il gruppo. Arrivavo al punto di pensare ai giorni legati al luogo in cui saremmo dovuti andare, Volevo proprio staccare da questo ambiente e magari di pensare a comporre qualche brano per altri gruppi. Eppure sono felice di sapere che l'esperienza degli Swingle Singers continua tutt'ora e di essere in contatto con loro". Lei è rimasto "musical advisor" del gruppo. È una sorta di garante musicale più che di consulente? "Quando c'è un brano che penso possa essere adatto al gruppo glielo faccio sapere: non è difficile mantenere i contatti anche se io vivo a Parigi e loro a Londra, anzi devo dire che sono molto stretti attualmente. Ma al tempo stesso lascio loro piena autonomia: inoltre alcuni componenti del gruppo sono al tempo stesso arrangiatori. Lo erano ex-Swingle degli anni '80 e '90 come Ben Parry, Jonathan Rathbone, Mark Williams e lo sono oggi Joanna Forbes e Tom Bullard, entrambi di grande talento. Tutti hanno fatto in modo di portare grande varietà al repertorio. D'altra parte bisogna pensare ai prossimi 40 anni!"