L’Italia delle canzoni scanzonate. Ribelle, satirica, demenziale

Da Petrolini a Caparezza, viaggio nella musica che aiuta a sorridere

Fred Buscaglione

Fred Buscaglione

ESTATE 1959: l’ Autosole è ancora in fieri e da Modena, per andare al mare in Versilia, bisogna risalire l’Appennino attraverso la vecchia via Giardini. Al passo dell’Abetone il babbo ferma la nostra amata Topolino C amaranto davanti al “Lupo bianco” e scendiamo per fare colazione. Nonostante l’ora mattutina, di fianco al juke-box un “cumenda” mezzo calvo e con pancetta sta ballando con una ragazza pettinata come Mina al ritmo d’un rock scatenato: «Oh Coccinella/ Co-co-Coccinella…/ Tu sei come un whisky/ Io mi sbronzo di te/ ma togli quel vestito che fa tanto schifo a me/ Oh Coccinellaaa...». Una canzone che - lo scoprirò molto più tardi - parla provocatoriamente d’un travestito parigino e in quell’Italietta ancora democristiana esplode come un liberatorio presagio dell’imminente boom, vendendo oltre un milione di copie. La canta Ghigo (Arrigo Riccardo Agosti), che mi capiterà di conoscere di persona una dozzina d’anni più tardi.    OGNUNO ha le sue madeleine proustiane, e per me è stato davvero un positivo shock neuronale scoprire che quello scandaloso hit ascoltato all’ora di colazione da un bambino di otto anni in un locale dell’Abetone «può essere considerato il primo brano rock demenziale italiano». E Ghigo «una sorta di Lenny Bruce della canzone». Lo scrive nero su bianco Roberto Manfredi a pagina 91 di “Skan-zo-nata – La canzone umoristica e satirica italiana da Petrolini a Caparezza”, edito da Skira con una prefazione di Alberto Tonti (pagg. 251, euro 16,50): un libro così ricco di spunti, aneddoti, foto, testi surreali, che ti fa godere immensamente anche se non sai da che parte prenderlo perché ha l’argento vivo addosso e scappa da tutte le parti. Colpa tua, lettore, che sul filo delle curiosità o dei ricordi personali saltabecchi qua e là, mentre Manfredi, ex discografico e produttore tv, procede con un rigoroso impianto cronologico a narrarci queste “storie dell’Italia leggera” che avrebbero deliziato il sempre rimpianto Edmondo Berselli. In principio c’è naturalmente Petrolini, nemico giurato della musoneria italiana: «Mi venivano a sentire per esclamare: Quant’è scemo!». Lo segue a ruota (1933) Rodolfo De Angelis: la sua celebre “Ma cos’è questa crisi?” sembra scritta oggi, o forse dopodomani. Bisogna poi dare atto alla stolidità della censura fascista di aver involontariamente incrementato la nostra canzone umoristica e satirica combattendola con risibili pregiudizi. Basta vedere gli ostacoli che dovettero superare negli anni ’30 e ’40 musicisti e cantanti come Gorni Kramer, Natalino Otto e Pippo Starnazza, rei di fornicare col jazz “musica dei neri”, o parolieri come Mario Panzeri, costretto a discolparsi perfino per il testo del “Tamburo principal della banda d’Affori”, nel cui protagonista «che comanda 550 pifferi» venne ravvisata una caricatura di Mussolini.    NEL Dopoguerra il jazz si prende le sue rivincite a braccetto con la satira: è la grande stagione di Renato Carosone e del suo pirotecnico batterista Gegè Di Giacomo. Sui testi umoristici di Nisa (Nicola Salerno) nascono successi mondiali come “Tu vuò fa’ l’americano” e “Torero”. Dalla Napoli di Carosone alla Torino di Fred Buscaglione. Coi suoi baffi alla Clark Gable, la bottiglia di whisky e l’inseparabile sigaretta, Fred (Ferdinando) americaneggia in uno stile parodico tra i gangster movie e i gialli di Chico Pipa scritti da Carletto Manzoni. Nascono canzoni memorabili, da “Che bambola” a “Eri piccola così” a “Teresa non sparare”. Gli anni ’60 segnano la grande stagione del cabaret milanese: il Derby Club, Franco Nebbia, Walter Valdi, Beppe Viola, Jannacci, Gaber, i Gufi, che passeranno il testimone ai più giovani Cochi & Renato e Abatantuono. Da Gianfranco Manfredi con la sua satira della canzone politica al geniale anarchismo di Rino Gaetano, da Benigni a Riondino, il filone comico-satirico si dirama fino riallacciarsi alle provocazioni di Ghigo con il “rock demenziale” degli Skiantos e di Elio e le Storie Tese. Ma qui siamo ormai nell’attualità: «Chiudo volentieri il libro con Caparezza » scrive Manfredi «perché è l’“erede” musicale di quella storia iniziata più d’un secolo fa con Petrolini». Tutto si tiene. Nella follia della canzone comico-satirica evidentemente c’è del metodo.