Giovedì 18 Aprile 2024

COMMENTO I fratelli Coen spiazzano, ma hanno ragione

di Andrea Martini

La Palma d'Oro (Ansa)

La Palma d'Oro (Ansa)

Cannes, 24 maggio 2015 -  La delusione è grande. Non la si può nascondere facilmente. Il  cinema italiano è fuori  da ogni premio,come si era cominciato a supporre già da ieri. Tuttavia il palmarès firmato dai fratelli Coen non solo non fa gridare allo scandalo ma risulta abbastanza equilibrato con appena un penchant francese che mancava da molte edizioni. Un mix di amor novi, di riconoscimento professionale e di estro personale. La palma d’oro a Jacques Audiard  non era facilmente ipotizzabile ma non stona: il cinema impetuoso e debordante del regista francese messo al servizio di un soggetto per lui inconsueto ha prodotto un risultato a basso tasso cinefilico ma di grande efficacia. Senza sbavature e senza retorica Dheepan non è una palma memorabile ma tutt’altro che inopportuna. 

Centrato il premio alla regia, consegnato a un rassegnato  Hou Hsiao-Hsien (ottava presenza a Cannes). Il suo The assassin è una prova di alta sensibilità cinematografica: ogni inquadratura è studiata, ogni movimento di macchina è necessario, sicché il film riesce a essere esemplare conferma di un raggiunto moderno classicismo. Un paradosso potrebbe sembrare il Gran premio della giuria, che generalmente viene offerto agli autori già  consacrati, assegnato a Il figlio di Saul del giovane ungherese Lázló Nemes. Girato quasi interamente in primo piano secondo un segno estetico che diventa partito preso, deve avere suscitato entusiasmo in una giuria a cui, in fatto di innovamento linguistico, era stato offerto davvero poco.  

Stupisce in parte il premio della Giuria concesso ( è il caso di dirlo) a Lobster, film inutilmente pretenzioso e filosofeggiante senza ragione, ma il greco Yorgos Lanthimos ha saputo confezionare intorno alla sua pretesa provocazione una rete di protezione (ottimi attori, per esempio) in grado di nasconderne la vacuità.

Le migliori interpretazioni sono uno scoglio anche per le migliori giurie. La Palma di  Vincent Lindon ( “il mio primo premio”) è sacrosanta. La sua grandezza nasce da un’umiltà rara e questo gioca a favore del protagonista di La loi du marché, solo apparentemente sottotono nell’esprimere la pazienza, l’etica, la resistenza e la dolcezza di un cinquantenne in cerca d’impiego.

Un pasticcio imprevedibile è alla base della Palma femminile divisa tra la francese Emmanuelle Bercot, avvocatessa borghese alle prese con il maudit Cassel, in fin dei conti credibile, e la statunitense Rooney Mara, incredibilmente separata dalla sua partner in Carol, Cate Blanchett  a cui tutto o quasi si deve dell’innegabile  riuscita del film di Todd Haynes.

Tra le sceneggiature dei film presentati in Concorso forse vi erano esempi migliori (spiccava senz’altro quella di Our little sister) ma il copione del film Chronic, firmato dallo stesso regista Michel Franco, offre comunque un’ottima dimostrazione di come si possa affrontare un soggetto scabro e difficile quale la cura dei malati terminali. Pacata la frustrazione per aver perso quello che sembrava a portata di mano, forse il cinema italiano nel suo complesso dovrà fare un esame di coscienza. Non tanto autori e registi quanto tutti i principali quadri di una macchina burocratico-industriale che non sembra all’altezza. E a cui speso s’accodano per inerzia uffici stampa e talvolta giornalisti inclini all’esaltazione.

di Andrea Martini