Mercoledì 24 Aprile 2024

Cinema e sesso: tra arte, provocazione e trucco da botteghino

Da 'Nymphomaniac' di Von Trier a 'Ultimo tango a Parigi' di Bertolucci, dibattito sul rapporto tra cinema e sesso con Umberto Curi, filosofo, ordinario all’Università di Padova, Massimo Bergamini, docente e consulente della comunicazione per l'arte e lo spettacolo, e Andrea Violi, critico cinematografico

Charlotte Gainsbourg protagonista di '  Nymphomaniac' alla Mostra del cinema di Venezia (Olycom)

Charlotte Gainsbourg protagonista di ' Nymphomaniac' alla Mostra del cinema di Venezia (Olycom)

Roma, 2 settembre 2014 - Forte dell'eco che si porta dal 64° Festival di Berlino, dove ha scatenato la polemica molto prima della proiezione, 'Nymphomaniac - Volume I e II' di Lars Von Trier, nella versione non tagliata, l’unica riconosciuta dal regista, sbarca finalmente a Venezia con i suoi attori principali Stellan Skarsgård e Charlotte Gainsbourg. In Italia il film è passato il 3 e 24 aprile, in formato ‘edulcorato’, quindi non riconosciuto, ma solamente approvato per la distribuzione da Von Trier. Naturalmente, tutto questo iter ha suscitato la curiosità degli spettatori. "Sarà capolavoro o pura provocazione?", ci si chiedeva. O nessuno dei due, ma semplicemente un buon film, in grado di far riflettere e sollevare interrogativi? Una cosa è certa. La materia di cui tratta è scottante e in un'altissima percentuale responsabile degli ingressi in sala.

L'anno scorso Joseph Gordon-Levitt esibiva il suo 'Don Jon', il lato esilarante del sesso vissuto in maniera compulsiva da uno youporn addicted. Di tesi capovolta, il film serbo di Maja Milos 'Clip' sulla youporn generation che ha sconvolto Rotterdam descrivendo una gioventù amorale e senza speranza. L'esito è lo stesso: soglia di attenzione portata alle stelle.

Allora proviamo a non sottrarci alla domanda di fondo e buttiamoci in un viaggio al termine del sesso su grande schermo. Che cosa spinge il pubblico, oggi, a porsi dietro il buco della serratura? Perché la morbosità dell'audience prevale sui contenuti e la chiave di lettura di un regista? Nel 1992 furono le gambe aperte di Sharon Stone in Basic Instinct: solo il sapere che c'era quella scena trascinava la gente in sala. Il motore di tutto. Da sempre i registi assecondano le pulsioni dello spettatore amplificandole, dandogli ciò che vuole o pensa di volere. Dunque, perché il pubblico è tanto attratto dal sesso in sala?

DIBATTITO FRA UN FILOSOFO, UN CRITICO E UN DOCENTE DI COMUNICAZIONE - Toccando i nostri quesiti ambiti differenti, abbiamo interpellato tre voci: Umberto Curi, filosofo, ordinario all’Università di Padova, autore di numerosi saggi di cinema, Massimo Bergamini, docente e consulente della comunicazione per l'arte e lo spettacolo, e Andrea Violi, critico cinematografico con una cineteca di oltre 3000 titoli. Primo della lista ad essere chiamato è Curi. Raggiunto alla prèmiere berlinese di 'Nymphomaniac'. Poi è stata la volta di Bergamini e infine, in prossimità di Venezia, di Violi. Andiamo al cinema con loro.

"Il confine tra attrazione (commerciale) e provocazione (culturale) è sempre labile.Talmente labile che porta a discutere sull’effettivo valore culturale di un film, quando questo valore semplicemente non esiste - ­attacca Bergamini -. ­Aveva iniziato tanti anni fa Gualtiero Jacopetti a fare un uso spregiudicato dell’attrazione morbosa. Eros e Thanatos, sesso e violenza (cos’è la morte, altrimenti, in qualunque sua manifestazione?) spacciati per esorcismi quando in realtà erano semplicemente strumenti di produzione, (in)utili da botteghino. Anche i grandi registi sono caduti in questa trappola, basti pensare a 'Eyes Wide Shut' di Kubrick, esercizio di regista al tramonto, quasi sfizio senile. Forse il film più sopravvalutato di sempre di un genio comunque immenso. Sotto il vestito niente, ma tolto il vestito nulla, insomma. Il problema è che questi meccanismi funzionano da sempre e sempre funzioneranno, alla panem et circenses. Anche perché noi cerchiamo la bellezza ovunque, parafrasando il Principe Miskin di Dostoevskij, ma quando non c’è, non c’è".

Curi ribalta il punto di vista, tornando da questo lato dello schermo: "Trovo perfettamente normale quella che, invece, lei chiama la 'morbosità' dello spettatore. Se sono spettatore – vale a dire se esercito l’attività dello spectare – è ovvio che sia attirato da tutto ciò che si offre al mio sguardo, con una particolare attenzione a ciò che abitualmente il pudore impone di sottrarre alla vista. Proprio perché è proibito, o è considerato dalla moralità pubblica indecente, proprio per questo sono spinto dal desiderio di vedere. Si tratta di un tema che è coestensivo alla tradizione culturale occidentale. Non sono pochi, né scarsamente significativi, i miti antichi che hanno al centro il tema della proibizione del vedere e delle conseguenze che possono scaturire da un'eventuale violazione. Come confermano i miti di Diana e Atteone o di Tiresia, è precipuamente il sesso a essere circondato dal tabù della vista".

IL TABU' DELLA VISTA. Proprio in forza di questo tabù e del conseguente desiderio di evaderlo, come si comporta chi sta alla macchina da presa? "Forse lo stato dell’arte del sesso trasposto su celluloide è ancora oggi un film vecchissimo: 'Ultimo tango a Parigi'­ - risponde Bergamini -. ­Lo dimostra il fatto che l’unica parte davvero debole del film è il finale (parlo di scrittura e drammaturgia), non l’esibizione ostentata di nudi, pubi, amplessi e panetti di burro. Non c’è un solo fotogramma volgare in 'Ultimo tango', nemmeno quando Maria Schneider dialoga col pene del compagno sconosciuto. Per capire il proprio tempo bisogna chiedere agli artisti. E Bertolucci risponde. Il dramma relazionale uomo­donna, che diventa divinità bifronte, è oggi più che mai attuale. E finisce con una sconfitta. Come nel 1972. Chi annusa il tempo con grande attenzione (la Chiesa, il potere) mise all’indice immediatamente l’opera, che venne osteggiata e bruciata fino a farne un feticcio. Certe battaglie democristiane contro il demonio filmico hanno fatto epoca. Chiediamo anche a chi gestisce il potere e il controllo, non solo agli artisti".

Bergamini riprende poi il concetto espresso da Curi riguardo la 'normalità' di ciò che viene sottratto all'occhio: "Siamo attratti da tutto ciò che è velato, sotterraneo, profondo e comunque non manifesto. Siamo attratti dalla sua epifania. In fondo è questo il concetto di 'idolo'. Durante l’ultima scossa di terremoto in Emilia (ci può essere qualcosa di più viscerale e profondo di un terremoto?), essa fu talmente forte che la gente per prudenza si riversò su Facebook, mentre ancora il monitor del pc ballava. Intendo dire che il compiacimento è una molla potentissima".

RENDERE VISIBILE L'INVISIBILE - Guai, però, se l'autore di un'opera tradisce la volontà degli spettatori di ricevere ciò che attendono, avverte Curi: "In quanto il cinema è un modo per rendere visibile l’invisibile, io mi aspetto dal cinema la manifestazione di ciò che è abitualmente occultato. Di qui il senso di incompletezza che talora resta nello spettatore di fronte alla dissolvenza o all’ellissi, tecniche che tradiscono l’impegno implicito di 'far vedere', e che si limitano ad alludere".

ARTE O ANATOMIA? - "Ma dopo che si è visto di tutto e gli abiti degli attori sono venuti via come la buccia di una mela, lasciando corpi mostrati in tutti i loro anfratti, che cosa rimane? "Naturalmente, si tratta di intendersi sul significato del 'far vedere' - ­riprende Curi­ -. Dove è evidente che non rientrano nella categoria dei film che mostrano, le produzioni hard­core, nelle quali prevale un approccio ginecologico, rispetto a un’impostazione genuinamente erotica. L’organo sessuale può interessare il medico o il ricercatore, mentre il sesso non coincide affatto con i dettagli anatomici".

"Cosa rimane da vedere? Nulla, anatomicamente­ - aggiunge Bergamini, scostandosi da Curi e facendone una questione di livello artistico, e non di categoria di film -. Basta vedere qualunque DVD di recente produzione tedesca, francese o un B movie americano (due titoli a caso, 'Engel mit schmutzigen Flügeln' del 2009 ed 'Elles' di Malgoska Szumowska) per risparmiare i soldi del noleggio porno. E ogni festival del cinema che si rispetti sfodera almeno uno scandalo all’anno. Questo non è un male, e nemmeno un giudizio morale. E’ molto più deviante un qualunque format televisivo sulla cronaca nera, o qualunque instant book. Allora più che di rimanenze da vedere, parlerei di rimanenza del livello alto del gusto, della bellezza. Di altezza dell’asticella. Tarantino dimostra che è possibile far vedere qualunque tipo di scena, anche la più violenta, se c’è un significato artistico dietro. Un messaggio. Altrimenti, è solo cinema”.

DA FORZA ANTICONFORMISTA A SEGNALE DI ALLARME - Andrea Violi abbraccia le domande in una considerazione generale: "In realtà, rispetto agli anni '70 e '80, la quantità di sesso nei film è decisamente diminuita; non esiste praticamente più la categoria del film erotico, non esistono più i film scollacciati, e i film mainstream con scene in camera da letto tra i protagonisti sono piuttosto pochi. Motivi? 'Sovraesposizione' sessuale tra pubblicità e televisione, estrema fruibilità, grazie a Internet, della pornografia, soprattutto mentalità cambiata.

"In quell'epoca il sesso era una forza anticonformista e liberatrice nei confronti delle censure, del perbenismo, delle imposizioni di certi ambienti politici e religiosi - prosegue Violi -. Oggi tutto questo non vale più; il sesso è sfogo di pulsioni e perversioni, ossia delle frustrazioni che l'essere umano porta con sé. Provoca dipendenza, eccessi e coazione a ripetere, dunque è un segnale di allarme: oppure è un grido di vitalità energica in un'esistenza spesso ritratta come piatta, priva di sensazioni, di aspirazioni. E' quindi appannaggio di autori impegnati e appartati, più che del cinema popolare. Ad esempio, il sesso telematico a cui si dedica la protagonista femminile di 'Import-export' (Ulrich Seidl, 2007) è un modo per guadagnare, antisettico e patetico, mentre la scena sadomaso con una prostituta nella stanza d'albergo ribadisce il senso di vuoto, di orizzonte basso e deprimente, da ravvivare come si può con un misto di volgarità e prepotenza, assecondate solo per via del denaro".

VON TRIER - "Altri registi europei - aggiunge Violi - usano il sesso in questo modo problematico, ad esempio il greco Lanthimos, e Lars von Trier, che priva l'erotismo di ogni patina glamour per farne l'espressione più diretta del disagio, della provocazione pura, di limiti e problemi psicopatologici, sociali, apocalittici. Esemplare il fatto che la sua interprete più 'disponibile', Charlotte Gainsbourg ('Antichrist' e 'Nymphomaniac') sia figlia di Serge Gainsbourg e Jane Birkin, coppia storica dell'erotismo che cantava 'Je t'aime...moi non plus', ostentando una felicità sessuale sorridente e libera, mentre lei è la musa di uno dei registi meno sorridenti e più contorti (ancorchè interessanti) del mondo".

Bergamini è scettico sulle ultime produzioni artistiche del danese: "Dico solo che è un peccato che un autore talentuoso e geniale come Von Trier usi la provocazione per parlare di provocazioni". Mentre Curi individua le interpretazioni più interessanti che dell'erotismo danno alcuni autori: "Forse l’unico che sia riuscito a evitare le raggelanti sequenze di un hard­core, senza tuttavia 'censura' o omissione, è stato Walerian Borowczyk. Senza trascurare il cinema italiano degli anni '70 e '80. In particolare, alla base de 'Il merlo maschio', vi era l’idea di utilizzare la struttura della mise en abyme, visto che il protagonista (Lando Buzzanca) veniva posto nella stessa condizione dello spettatore, poichè 'vedeva' di soppiatto le nudità di sua moglie (la seducente Laura Antonelli). Dove appunto la carica erotica scaturiva dal fatto che quel corpo nudo che il protagonista, come marito, avrebbe dovuto conoscere molto bene, assumeva una fortissima carica perché 'visto' letteralmente dal buco della serratura".

NAUSEA, MA NON SAZIETA - Al termine del nostro viaggio, che non finisce mai, poniamo l'utilizzo e la percezione del sesso come droga. La degenerazione suprema della sua rappresentazione sul grande schermo: stupefacente, antidoto alla noia, alla depressione, per riempire tempi morti. Pensiamo a 'The Wolf of Wall Street' di Martin Scorsese"Uno dei prodotti più vincenti, in termini commerciali, attrattivi e comunicazionali, è il sesso. Non c’è scampo a questo", sentenzia Bergamini. Si può essere d'accordo. Ma riflettiamo su questo: 'Venere allo specchio' di Velázquez è un capolavoro che rapisce il visitatore in uno sguardo di suprema voluttà. Un blogger ha pensato di sostituire lo specchio con un tablet, in una riproduzione del quadro che stimola una domanda: la dea, e noi che la guardiamo di qua dalla tela, dopo la scoperta iniziale e vistasi moltiplicata tot mila volte in una replica digitale, non si annoierà? Non proverà nausea di fronte a se stessa? E la sua sensualità, ritratta originariamente in maniera così vivida e dirompente dallo spagnolo, non perderà il suo potere seduttivo alla milionesima copia?

Facciamo la prova con un amplesso... "La sua incessante riproposizione, fino a nausea e noia, non causa sazietà, nausea e noia, perché bastano pochi giorni di astinenza, al pubblico, per tornare a desiderare i suoi desiderata­spiega Bergamini­La dimostrazione è data dal mondo del videoclip pop moderno. E’ impossibile oggi non vederne uno senza continui messaggi erotici, erotizzanti e possibilmente patinati. Eppure funzionano sempre. Anche lo stesso videoclip a contenuto erotico, se riproposto 50 volte di fila nello stesso locale nel giro di poche ore, verrebbe comunque sempre seguito dal pubblico ognuna delle 50 volte. Insomma, il sesso è effettivamente una droga, e spesso il consumo, oltre che piacevole, è totalmente (apparentemente) gratuito. Vedi advertising pubblicitari, spot, clips, film, copertine di libri e riviste. Le droghe piacciono, e anche la dipendenza che creano piace. Inoltre, ogni dipendenza permette di fare budget molto precisi sugli incassi dell’anno a venire".

SAPERLO FARE - Chiosa il filosofo Curi: "La domanda cela una dose di – inconsapevole – moralismo. Perché mai il sesso dovrebbe essere una droga? Forse l’unico aspetto che accomuna queste due cose, per altri versi fra loro quasi incommensurabili, è che, in entrambi i casi, il proibizionismo aumenta il consumo, anzichè limitarlo o cancellarlo. Non mi scandalizzo neppure per quella che viene chiamata la 'degenerazione' della rappresentazione del sesso sul grande schermo. Al contrario, il cinema svolge un ruolo importante nel processo di emancipazione da tabù anacronistici. Semmai si tratta di 'saperlo fare', evitando appunto di confondere erotismo e ginecologia, e 'giocando' opportunamente sul nesso visibile/invisibile. Cosa molto difficile, come è testimoniato dallo scarso impatto erotico di gran parte dei film cosiddetti espliciti".