Mercoledì 24 Aprile 2024

'Divina Marchesa', Venezia celebra Luisa Casati. Musa del '900 che stregò il Vate

La mostra a Palazzo Fortuny fino all'8 marzo 2015

Un particolare del ritratto di Augustus Edwin John del 1919 ,Toronto, Art Gallery of Ontario

Un particolare del ritratto di Augustus Edwin John del 1919 ,Toronto, Art Gallery of Ontario

Venezia, 27 ottobre 2019 - Le donne come lei piacciono. Piacevano e piaceranno. Sempre. Personalità non comuni, capaci di sconvolgere dall’interno con la forza di uno sguardo ghermidore.  Luisa Casati, l’icona del non convenzionale, creatura eterea e demoniaca al contempo, capace di sovvertire i consueti canoni della dolce arrendevolezza femminile.  Fragilità addio. Candore? Una bestemmia. Lei era “Corè, distruttrice della mediocrità”, per dipingerla con le parole del Vate, di cui fu una delle innumerevoli amanti. Ma l’unica che Gabriele d’Annunzio stimò veramente, ammaliato per anni dal fascino inimitabile di quella donna che, come tanti altri, citò e ricordò in numerose opere. Venezia rievoca oggi la figura e il mito della musa alla quale si inchinarono stuoli di pittori, scultori e fotografi che la immortalarono: Alberto Martini, Augustus Edwin, John, Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Kees Van Dongen, il barone Adolph de Meyer, Cecil Beaton. Ma anche Romaine Brooks, Ignacio Zuloaga, Jacob Epstein, il grandissimo Man Ray. Basta uscire dalla stazione di Santa Lucia per imbattersi in quello sguardo sporco, incorniciato da una chioma fiammeggiante nel ritratto realizzato da Augustus Edwin John, prestito dall’Art Gallery di Toronto, scelto come immagine-simbolo per i manifesti della mostra “La Divina Marchesa. Arte e vita di Luisa Casati dalla Belle Époque agli Anni folli”.  Ideata da Daniela Ferretti e curata da Fabio Benzi e Gioia Mori, l’esposizione conta oltre un centinaio tra dipinti, sculture, gioielli, abiti, fotografie di grandi artisti del tempo provenienti da musei e collezioni internazionali, riuniti in quella che fu la casa-atelier di Mariano Fortuny, che con le sue ricercate sete e i famosi Delphos vestì - insieme con Paul Poiret, Ertè e Léon Backst - i sogni e le follie di Luisa Casati. L’occasione per ammirare opere di artisti chiamati a raccolta a ricordare la “Corè” dannunziana, dark lady decadente ante litteram, ispiratrice di surrealisti, fauvisti, dadaisti e futuristi, facendone convivere mito e storia, vita e arte.  La Casati, non fu però solo una figura bizzarra ed eccessiva - universalmente nota per i suoi pitoni veri al collo, i levrieri dipinti di blu in pendant con le sue eccentriche mise e i nude look sapientemente esibiti - ;una spettacolare e trasformista, megalomane e narcisista, insomma. Il percorso espositivo allestito nei suggestivi stanzoni di Palazzo Fortuny, gli ambienti della casa dell’artista che Luisa era solita frequentare (tresformati in luogo denso di rimandi, evocativo di luoghi, personaggi ed emozioni), sono capaci di restituirle una dimensione più consapevolmente “artistica”, rintracciando la sua attività di collezionista, restituendo alle sue azioni e ai suoi mascheramenti una dimensione estetica che la rende un’antesignana dell’arte performativa e della body art. In pochi anni la Divina Marchesa, come la definì d’Annunzio, trasformò il suo volto nell’icona della “belle dame sans merci”: disegnato da profonde ombre nere, con le pupille dilatate e rese lucenti dalla belladonna, le labbra dipinte di rosso scarlatto, i capelli tinti di rosso. Dilapidò la sua immensa fortuna in travestimenti mozzafiato e in feste spettacolari di cui fu ideatrice e principale interprete, in case allestite come musei e nell’acquisto di opere d’arte. E come tutte le cattive ragazze, la casati morì sola e in miseria, in una Londra del 1957, come testimoniamo le fotocrudeli scatatte da Cecil Beaton, tre anni prima della sua ingloriosa fine. Fra giaguari, ghepardi, abiti scultura, monili firmati Cartier, la rassegna in Laguna propone una ricca collezione di lavori e ritratti, che le furono dedicati o che lei stessa commissionò, che rievocano, di volta in volta, una delle tre “dimensioni” della Casati - performer, icona della donna vamp e strega - riconosciutele da Robert de Montesquieu nei suoi sonetti. Fra le tante opere esposte, datato 1912, il ritratto concesso in prestito dal parigino Centre Pompidou firmato Léon Bakst, il costumista dei Balletsrusses, che da quello stesso anno creò per la marchesa scenografici abiti per le feste più mondane. Una passione per i mascheramenti enfatizzata nel dipinto di “Corè” vestita con piume di pavone realizzato da Boldini nel 1911-1913 (Roma, Gnam) che accoglie il visitatore e due opere realizzate a grandezza naturale da Alberto Martini, provenienti da collezione francese, che ricordano le sue interpretazioni di Cesare Borgia (1925) e di un arciere selvaggio (1927).  Ma è l’aspetto più “gotico” della Divina Marchesa, la sua ossessione per l’occulto e le pratiche magiche, a emergere con forza in mostra: la testimonianza, nel suo delicatissimo “doppio” in cera del 1908, eccezionale prestito del Vittoriale degli Italiani. Una donna che ancora non cessa di stupire.

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