Venerdì 19 Aprile 2024

Divina e disperata. Così rivive la Callas

Tutte le sue registrazioni rimasterizzate in 69 cd

Maria Callas (Ansa)

Maria Callas (Ansa)

Andrea Spinelli

LONDRA, 21 settembre 2014 - «MARIA CALLAS era una donna molto severa con se stessa arsa da un’intima infelicità, così, soprattutto nei dischi degli anni Sessanta, quando si accorgeva che il suo privato finiva col riverberarsi troppo sulle arie che incideva, pretendeva di rifarle immediatamente». Negli ovattati studi di Abbey Road le memorie di Beatles e Pink Floyd si confondono con quelle della Divina, mentre l’ingegnere del suono Allan Ramsay parla del monumentale box set “Callas remastered: the complete studio recordings”, 69 cd con tutte le registrazioni realizzate per l’etichetta Emi / Columbia e per l’italiana Cetra tra il 1949 e il 1969. Un viaggio completo attraverso la discografia della grande cantante greca attraverso 26 opere e 13 recital. «Se si ascoltano tutti i 69 cd compiendo il percorso completo nella sua voce, ci si accorge di quanto quel formidabile strumento che la Callas portava in gola sia cambiato nel tempo, adattandosi alle gioie, alle ansie e ai dolori dell’esistenza». 

DIFFICILE circoscrivere il talento di uno tra i più grandi monumenti lirici della storia. «Maria non aveva limiti, era insieme soprano, mezzosoprano e contralto, e fu geniale nel trasformare questo suo difetto in virtù» giura Franco Zeffirelli, ricordando le loro cinque collaborazioni, tutte memorabili. «Anche se in realtà lei voleva fare il baritono e la sua unica voce naturale è quella». Unica per timbro, estensione e agilità, la Callas rimane l’icona di un’era. Aveva centodieci opere in repertorio e bruciò tutta la sua arte in tredici anni, dal ’52 al ’65. Nessuna ha calcato il palcoscenico meglio di lei nei panni di Norma, il ruolo più interpretato nel corso della carriera, in quelli dell’Amina de “La sonnambula” portata in scena nel ’55 alla Scala con Visconti, in quelli di Medea, l’ultima maschera incarnata nella sala del Piermarini, nel ’62, e poi riproposta sette anni dopo davanti alla cinepresa di Pier Paolo Pasolini. Tutto trova spazio nel box set sul mercato da dopodomani.

Allan, perché il sottotitolo: Callas come non l’avete mai sentita prima?

«Perché per la prima volta nella storia abbiamo potuto operare sui nastri originali una rimasterizzazione traccia dopo traccia in altissima definizione. C’è voluto un anno di lavoro». 

Molti di questi dischi sono registrati alla Scala, nel periodo d’oro della Callas a Milano. «E la forza del teatro italiano si sente. Basta mettere a confronto la leggendaria “Tosca” registrata nel ’53 a Milano, con Di Stefano e la direzione di Victor de Sabata, con quella del ’65 a Parigi con Bergonzi e la direzione di Georges Pretre, per avvertire la netta differenza».

La Callas non ha mai interpretato davanti ad un pubblico opere come Bohéme, Manon, Carmen, eppure la resa su disco delle varie eroine è perfetta lo stesso. Perché? «Perché lei riusciva a trasferire nelle registrazioni la stessa forza evocativa che aveva sulle scene. E quel temperamento le rimaneva addosso anche quando non ‘sperimentava’ preventivamente il personaggio davanti ad un pubblico. Un’ attitudine favorita dal portare avanti - tra una rappresentazione e un’incisione - sempre diversi personaggi contemporaneamente».