Mercoledì 24 Aprile 2024

Brexit, Tremonti: "Europa uccisa da crisi e burocrati"

L’ex ministro: "Serve una confederazione"

Giulio Tremonti

Giulio Tremonti

Roma, 25 giugno 2016 - Ha appena dato alle stampe Mundus Furiosus. È il nome con cui venne ribattezzata l’Europa del ‘500. Mai titolo fu più azzeccato. Giulio Tremonti, ex ministro dell’Economia, non è mai stato tenero con Bruxelles. E ora che il Vecchio Continente perde pezzi, non si lascia sfuggire l’occasione per togliersi qualche sassolino dalle scarpe.

L’uscita dell’Inghilterra è stata uno choc. Se lo aspettava?

«I popoli hanno sempre ragione e le previsioni sono sempre difficili soprattutto quando sono preventive».

Di chi è la colpa?

«Tutti dicono che l’Europa è in crisi, ma nessuno dice perché. È fondamentale non tanto per attribuire colpe, ma per immaginare la cura. Non si può curare una malattia se non si conoscono le cause. Per l’Europa, sono quattro: l’allargamento, la globalizzazione, l’euro e la crisi».

Partiamo dall’allargamento.

«Non è stato solo orizzontale, ma anche verticale: non è stato solo geografico ma anche politico. L’Europa è diventata una cosa diversa da quella che era in origine. Se dieci anni fa avesse chiesto a uno studente se contasse più la Corte Costituzionale italiana o quella europea avrebbe sicuramente riposto quella italiana. Oggi è il contrario. L’Europa ha ormai un corpo politico, si occupa di tutto. Ha idea di quanto è lunga l’ultima Gazzetta Ufficiale europea?»

Lo dica lei.

«Ha 30.952 pagine, 151 chilometri lineari. Con un alfabeto legislativo che va da ‘a’ come ascensori a ‘b’ come basilico a ‘f’ come furetto... Come si fa a pretendere di ‘standardizzare’ un trapano che si usa in Danimarca con quello che puoi usare a Bologna? In sintesi, l’Europa con le sue regole è entrata nelle nostre case. Tutto questo può far piacere alle lobby, ma allontana l’Europa dai cittadini. Inoltre, se c’è un rischio da evitare durante la crisi, è quello di essere ridicoli. L’Europa dovrebbe affrontare grandi problemi, come l’emigrazione o la difesa del risparmio. E, invece, si è occupata imperterrita del rosmarino, del basilico, della salvia…»

Poi c’è stata la globalizzazione.

«A Bruxelles erano convinti che la questione fosse quella di costruire il mercato unico europeo. Non si erano accorti che, nella globalizzazione, quello europeo non era l’unico mercato».

Arriviamo all’euro e la crisi.

«È la prima volta nella storia che abbiamo una moneta senza governi e governi senza moneta. E anche per questo quando arriva la crisi salta tutto. La crisi è la quarta causa. La parola non compare mai nei trattati europei e questo per una ragione ideologica: i trattati sono costruiti solo su una logica progressiva e positivista. Il bene è la regola e il male è l’eccezione non prevista. Non essendo ipotizzabile una crisi non erano neanche previsti gli strumenti per gestirla».

Insomma, l’Europa ha sbagliato tutto?

«Ciascun fenomeno, in sé, era violentemente produttivo di effetti. Messi insieme hanno portato all’implosione che vediamo oggi. Ma, alla base di tutto, c’è l’affermazione dell’ideologia del 1989 come anno zero della civiltà europea. Si unisce la Germania, si unisce la moneta, si unisce l’Europa. E questo processo si basa su una tragica violazione dei trattati. La prima a farlo è stata Bruxelles».

Ma se ha appena detto che ha legiferato su tutto e di più…

«La base del trattato è la cosiddetta sussidarietà: puoi fare sopra solo quello che non vuoi fare bene sotto, a livello nazionale. La crescente forza di Bruxelles ha ribaltato questo rapporto».

Ci sarà un effetto domino?

«L’effetto è stato legittimato proprio dall’Ue con le concessioni fatte a Cameron per evitare la Brexit. I signori di Bruxelles hanno tentato di giustificarle definendole pienamente compatibili con i principi del trattato e per questo hanno aperto la porta a tutti».

Quale può essere la cura?

«Tre ipotesi. La prima è quella di un’Unione che si sviluppa sopra gli Stati, si basa sulla burocrazia e sulla tecnocrazia finanziaria, superando la sovranità degli Stati e la democrazia. La seconda ipotesi è quella di Stati totalmente isolati gli uni dagli altri. In questo modo si riconquista il passato ma ci si espone al rischio della dipendenza da forze che si sviluppano su scala globale, ancora meno democratiche di questa Europa. La terza ipotesi è quella della confederazione fra gli Stati. Degli Stati nazionali non puoi fare a meno. Non sono più una causa delle guerre come mezzo secolo fa. Sono piuttosto i contenitori di quel che resta della democrazia. La confederazione deve accordarsi sulle cose essenziali da fare insieme, dalla difesa dei continente a quella del risparmi. Su tutto il resto devono essere sovrani gli Stati: possono fare meglio e sono più vicini ai cittadini».