Venerdì 19 Aprile 2024

Brexit, cosa succede (e chi paga) se Londra esce dalla Ue

La strategia di Cameron, le ricadute sull'Europa e quello che rischia l'Italia Migranti, scontro Austria-Ue sul 'tetto' agli ingressi

Cameron arriva al summit europeo sulla Brexit (Lapresse)

Cameron arriva al summit europeo sulla Brexit (Lapresse)

Bruxelles, 18 febbraio 2016 - Un vertice da "o la va o spacca". La definizione, appena coniata del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, calza a pennello alla due giorni, oggi e domani, in cui potrebbero essere ridisegnati i confini politici dell'Unione Europea, con un Regno Unito che ha già un piede fuori dalla porta. La tensione è alta. Il premier inglese, David Cameron, che domani annuncerà la data del referendum sulla permanenza nell'Ue, indossa lo scudo e affila metaforicamente il tridente di Britannia, impersonificazione del proprio Paese: "Combatterò per la Gran Bretagna - annuncia -, non accetterò alcun accordo che non soddisfi le nostre esigenze". 

QUALI SCENARI - Fa la voce grossa, Cameron. Conscio anche dei sondaggi che, nei giorni scorsi, davano ancora in vantaggio i favorevoli all'uscita (42% contro 38%). Ma cosa rischiano davvero il Regno Unito, e il resto delle 27 nazioni del continente, con questa operazione? Gli scenari degli analisti si sono rincorsi in queste ultime settimane. E le cifre sono varie. Secondo i calcoli dell’Istituto Nazionale di Ricerca Economica e Sociale il Pil della Gran Bretagna crollerebbe in poco tempo del 2,25%, anche per la mancanza di investimenti diretti sul Paese. Ma pare un calcolo ottimista. Il Centre for economic performance (CEP), che fa capo alla London School of Economics, stima una perdita di Pil tra il 6,3% e il 9,5%, con danni per il Regno Unito simili alla crisi finanziaria globale del 2008-2009.   

Quadro a tinte fosche per il Berterlsmann Stiftung, centro studi tedesco, che lancia diverse ipotesi a seconda del grado di isolamento e della perdita dei privilegi commerciali. Nello scenario peggiore, il Regno Unito potrebbe arrivare a perdere, al 2030, ben il 14% del Prodotto interno lordo (Pil). Questo porterebbe a una perdita di addirittura 4.850 euro pro capite, calcolandola sui valori del 2014. E' vero che qualcosa sarebbe recuperato dal mancato contributo al budget europeo (che per la Gran Bretagna corrisponde al 0,5% del Pil), ma questo non compenserebbe il colpo. Le ripercussioni commerciali, poi, sarebbero equivalenti a un - 5% medio degli ordini delle industrie chimica, meccanica e dell'auto, le più colpite. 

Anche gli altri Paesi ne risentirebbero. La Germania (che è tra il principale partner commerciale europeo della Gran Bretagna) perderebbe tra lo 0,3% e il 2% del Pil, pari a un calo di reddito pro capite tra i 100 e i 700 euro l'anno a persona. A rimetterci di più sarebbero, nell'ordine, l'Irlanda, il Lussemburgo, il Belgio, la Svezia, Malta e Cipro. I bilanci degli altri Paesi sarebbero poi gravati da un maggiore contributo al budget europeo, per sopperire alla mancanza della Gran Bretagna. 

E L'ITALIA? - L'impatto sull'Italia può solo essere immaginato. Dal ramo alimentare a quello della difesa e della ricerca spaziale, sono molte le aziende italiane che subirebbero un contraccolpo dalla Brexit, in quanto mantengono scambi frequenti. Tra queste: Finmeccanica ed Eni, Merloni e Calzedonia, Pirelli e Ferrero. 

IL PESO DELL'ECONOMIA - Le cifre variano, ma tutti sono sostanzialmente d'accordo nel considerare la Brexit una sciagura per i conti. Non è un caso che il mondo economico inglese remi contro: dal mercato unico, infatti, dipendono 3,5 milioni di posti di lavoro in Gran Bretagna, e l’export britannico è quasi al 50% diretto verso i partner Ue. E la City cosa ne pensa? Sebbene la finanza sia, per definizione, liquida e non ami restare dentro i recinti, secondo un sondaggio realizzato dal Center For Study on Financial Innovation otto mesi fa, soltanto il 12% degli uomini della City sarebbe a favore dell'uscita dall'Ue, mentre il 73% è a favore della permanenza. 

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