Martedì 23 Aprile 2024

Il suicidio politico di Cameron. "Ho perso, serve un altro premier"

Quel voto proposto per farsi rieleggere. Ieri le dimissioni alla Regina

David Cameron (Olycom)

David Cameron (Olycom)

LONDRA, 25 giugno 2016 - SUL REFERENDUM David Cameron si era giocato tutto, ma il voto sulla Ue si è rivelato un boomerang che ha accelerato il suo suicidio politico. Il premier ieri mattina si è onorevolmente dimesso, o si è buttato prima che lo spingessero giù. Dopo essersi giocato tutto in una notte. Come era prevedibile, la sua posizione era diventata insostenibile alla luce del voto, per molti scioccante, a favore della Brexit. All’alba dei 50 anni, che compirà a ottobre, Cameron avrebbe voluto essere ricordato, come ha detto ieri lui stesso, per «aver riparato l’economia, aver migliorato l’aspettativa di vita e aver introdotto i matrimoni gay». Ma il suo epitaffio politico, come ha scritto anche l’Independent, sarà invece: «L’uomo che ha portato il paese fuori dall’Ue». Oppure anche «l’uomo dei referendum», perché dopo aver rischiato grosso con quello sull’indipendenza scozzese, vinto di misura nel 2014, Cameron ha rischiato ancora di più. Colto forse da una febbre di potere, convinto di essere invincibile, il leader dei Tory si è lanciato in una promessa che si è rivelata la sua nemesi. Naturalmente c’era dietro anche il patto con il diavolo, ovvero: eleggetemi e vi darò il referendum.

NON CI CREDEVA nessuno che ce l’avrebbe fatta, nemmeno lui, visto che tutti i sondaggi nelle scorse elezioni generali del 2015 erano a favore dei laburisti. Ve lo ricordate Ed Miliband? Era lui in testa a tutti i poll. E allora Cameron, pensando di aver poco da perdere, ha lanciato l’ultima sfida: il referendum in cambio dell’elezione. In un sol colpo si è guadagnato una gran fetta di elettori Ukip (la cui principale, se non unica, ragione d’esistere era proprio quella di uscire dalla Ue) che hanno contribuito a restituirgli la poltrona di premier, e questa volta non più divisa a metà con i liberal democratici.

DALLA SUA nuova posizione di potere assoluto, ed essendo un uomo onorevole anche se forse un po’ arrogante, Cameron la promessa l’ha mantenuta, ma mai pensava che sarebbe andata a finire così. Artefice del conservativismo compassionevole, figlio di ottima famiglia benestante (il nome del padre è finito nello scandalo dei Panama Papers), sposato con la nobildonna Samantha e istruito a Eton e Oxford, Cameron non ha di certo il «common touch», la sintonia con la gente comune.

CIRCONDATO da banchieri, uomini di finanza, grossi industriali e londinesi evoluti, Cameron forse non aveva idea di come il resto del paese avrebbe votato. Come al solito i sondaggi erano sballati e questa volta anche i bookmaker hanno preso una sola (cosa più rara) e l’inatteso, quasi inimmaginabile esito del referendum è stato come un colpo mortale per il premier che ieri, con la voce rotta e piena d’emozione, ha dichiarato: «Il popolo britannico ha votato per lasciare l’Unione Europea e la sua volontà va rispettata. Farò tutto il possibile per tenere la rotta nelle prossime settimane e mesi (fino a ottobre, ndr), ma non sarebbe giusto per me navigare il paese verso la nuova destinazione. Ci vuole una nuova leadership». E dopo una telefonata alla Regina, come da protocollo, l’era di Cameron è finita ed è iniziato il countdown per il nuovo leader.