Martedì 16 Aprile 2024

"Il patto inglese fa comodo a tutti". Bini Smaghi: ha vinto l'ambiguità

L'economista avvisa l'Italia sul debito: la flessibilità non è per sempre

Lorenzo Bini Smaghi

ARCHIVIO ECONOMIA CINA BANCA CENTRALE BC LORENZO BINI SMAGHI - FOTO NEWPRESS

Roma, 22 febbraio 2016 - Presidente Bini Smaghi, dopo l’accordo raggiunto a Bruxelles, è convinto che il Regno Unito abbia minato le fondamenta dell’Unione?

«Il testo dell’accordo è, volutamente, molto ambiguo – risponde il presidente di Société Générale e di Snam (foto ImagoE) – e rimanda il recepimento delle eccezioni britanniche ad altri passaggi, in particolare a future modifiche dei trattati. Il diavolo è nei dettagli. Queste clausole potrebbero essere riscritte tra molti anni, e fa comodo a tutti non affrettare i tempi. Come diceva il Cardinale de Retz, ‘non si esce dall’ambiguità che a proprie spese’».

Quali saranno le conseguenze pratiche delle clausole sul welfare per i migranti?

«Bisogna vedere se e con quali norme gli inglesi intenderanno applicare le clausole. Non è detto che lo facciano, potrebbe ritorcersi loro contro. L’immigrazione è un fattore di crescita del Regno Unito. La clausola serviva per far contenti alcuni euroscettici, e presentarsi al referendum mostrando di aver ottenuto grandi concessioni dalla Ue».

Cosa vuol dire la possibilità di non lavorare per forza per una Unione più stretta

«La dichiarazione è un capolavoro di ambiguità. Si dice in sostanza che la closer union consente una evoluzione verso una maggiore integrazione tra Paesi che condividono la stessa visione, senza applicarsi a tutti. Monsieur de la Palisse avrà brindato, con champagne inglese, nella sua tomba».

Da banchiere come interpreta lo status speciale concesso alla City? Non è un regalo eccessivo per la finanza britannica?

«Anche in questo caso, bisognerà vedere come le conclusioni verranno interpretate. Il principio di regolamentazione unica, il cosidetto single rule book , non sembra essere rimesso in discussione. Ma come dicevo prima il diavolo è nei dettagli. E i governi inglesi – indipendentemente dal loro orientamento – hanno sempre dimostrato una grande capacità di difendere la competitività della City, mentre i paesi continentali hanno dimostrato spesso il contrario. Basta vedere quello che succede con la tassa sulle transazioni finanziarie. L’Italia è uno dei pochi Paesi ad essere rimasti con il cerino in mano».

Cameron è il vero vincitore della partita? Riuscirà a mettere a tacere gli oppositori?

«È importante che Cameron appaia a casa sua come vincitore. Ma non sarà facile. L’esito del referendum non dipenderà dai contenuti dell’accordo ma dal prevalere o meno della ragione sulla pancia degli inglesi, quando entreranno nelle urne».

Il referendum sarà un rischio nei confronti della Scozia?

«Se vince la Brexit, immediatamente si riaprirà la questione scozzese. I nazionalisti chiederanno un nuovo referendum. A rischio è l’unità del Regno Unito, più che quella dell’Europa».

Come giudica la Merkel?

«La Merkel non appare mai, e non vuole apparire, come protagonista e/o vincitore del Consiglio. Ma è chiaro che la sua linea, di tenere il Regno Unito dentro senza concedere troppo, alla fine ha prevalso».

L’Italia di Renzi avrà più chance nella richiesta di flessibilità?

«Non credo ci sia alcun legame tra l’ultimo Consiglio e le discussioni future sulla flessibilità».

È ancora convinto che la battaglia per allentare le regole sia un lasciapassare a fare più debiti?

«Così viene percepito dagli altri Paesi. I dati sulla crescita della fine del 2015 e le nuove proiezioni indicano che la riduzione del debito nel 2016 è a rischio. In tale contesto il concetto di flessibilità permanente è un ossimoro».

Battere i pugni sul tavolo, fare il Gianburrasca, porta vantaggi o discredito?

«È una strategia volta soprattutto a guadagnare consensi interni. Agli italiani sembra piacere questo atteggiamento, almeno nel breve periodo. Il problema è capire se porta a dei risultati. In passato non è stato così. Temo non lo sarà nemmeno in futuro, perché anche gli altri capi di governo sono dei politici, eletti, e devono anche loro rendere conto al proprio elettorato».

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