Perché la Borsa di Milano è crollata nel 2016

Dal prezzo del petrolio a picco ai timori di recessione. Dal braccio di ferro Italia-Ue sul debito, alle sofferenze bancarie. I retroscena del tunnel di Piazza Affari

Piazza Affari (Imagoeconomica)

Piazza Affari (Imagoeconomica)

Roma, 7 febbraio 2016 - Un gennaio da dimenticare e un mese di febbraio che, visto com’è partito, rischia di essere anche peggio. Tanto che a memoria non si ricorda un inizio d’anno così tempestoso come il 2016 per le Borse del mondo, travolte da una pioggia di vendite. Ma se tutti i listini, dall’Europa a New York a quelli dei Paesi emergenti, mostrano perdite percentuali pesanti, il bilancio più negativo è quello di Piazza Affari. Da inizio anno la Borsa di Milano ha perso oltre il 18% (e un quarto del suo valore in due mesi) bruciando non solo tutti i guadagni del 2015 ma riportandosi sui livelli di fine 2013. Dietro la caduta corale dei mercati finanziari si nasconde più di un effetto negativo.

Il primo, secondo l’unanime consenso di analisti ed economisti, è rappresentato dal crollo dei prezzi del petrolio, sceso fino a 30 dollari al barile. Un brutto segnale di frenata dell’economia mondiale avvalorata dal passo molto più lento di una potenza come la Cina. Ma anche da qualche spiffero negativo proveniente dagli Stati Uniti dove l’indice dei servizi ha registrato il terzo calo di fila a gennaio. La paura che dopo la ripresa innescata, a cominciare dall’America, dalle enormi iniezioni di liquidità immesse dalle banche centrali (dopo la Federal Reserve, la banca centrale Usa hanno cominciato a “stampare” moneta anche la banca centrale inglese, quella del Giappone, la Bce di Mario Draghi con il Qe e quindi la Cina) l’economia mondiale possa tornare in recessione sta certamente contribuendo ad alimentare le vendite nelle Borse. Anche se, in realtà, il Fondo monetario internazionale prevede che il Pil globale crescerà nel 2016 del 3,4%, più del 2,5% dell’anno scorso.

Il timore che le iniezioni di liquidità siano in parte finite (vedi l’America dove la Fed ha cominciato a rialzare i tassi) o non siano del tutto riuscite a centrare gli obiettivi (come la ripresa dell’inflazione in Europa, tanto che il presidente della Bce Mario Draghi, parlando di “cospirazione” ha già preannunciato nuovi e robusti interventi a marzo) ha contribuito ad alimentare il nervosismo sui mercati finanziari. Mercati dove i ribassi sono spinti anche dalle vendite forzate con i programmi automatici, dei grandi investitori: fondi, Etf, hedge fund. Che stanno portando a casa i guadagni accumulati con il rally dei mercati prima di questa forte inversione di tendenza. E c’è chi sostiene che tra i venditori ci sarebbero anche i fondi sovrani, a cominciare da quelli arabi, per incassare liquidità con cui coprire le perdite nei bilanci pubblici dei loro Paesi causate dalla caduta dei prezzi del greggio.

Tutti questi fattori negativi hanno certamente contribuito anche all’inizio d’anno disastroso della Borsa di Milano. Ma da soli non bastano a spiegare perché Piazza Affari, trascinata al ribasso soprattutto dai titoli bancari, che poi sono quelli che pesano di più nel paniere del listino milanese, sia stata la peggiore. Anche se è vero che quando si teme un rallentamento dell’economia, i titoli finanziari sono tra i più colpiti. Tanto che in tre mesi le azioni delle banche europee hanno perso il 24%. Ma per molti titoli delle banche italiane (a cominciare da Mps) le perdite sono state dal 40 fino al 60% con solo Intesa San Paolo capace di contenere il ribasso attorno al 20%. E persino le popolari in odore di aggregazione, come Bpm, Banco Popolare, Ubi, Bper, non sono state immuni alla tempesta.

La realtà, spiega il responsabile di una grande Sim italiana che preferisce l’anonimato, è che l’anno scorso non si poteva fare a meno di investire in Piazza Affari (migliore Borsa del 2015) perché tutti scommettevano sulla ripresa dell’Italia. Oggi si pensa l’esatto contrario: Italia non ti voglio più. Un cambiamento che non prefigurerebbe, come ha spiegato lo stesso ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, “un attacco speculativo” al nostro Paese ma che va ricondotto comunque al braccio di ferro tra l’Italia di Renzi e Bruxelles. O meglio la Germania di Angela Merkel che, dalla Ue alla Bce, può far valere tutto il suo peso. Il braccio di ferro riguarda la maggiore flessibilità nel produrre deficit da parte dell’Italia per favorire la ripresa. I tedeschi restano rigoristi e vorrebbero che il risparmio, grazie al crollo dei tassi, sulla spesa per gli interessi del nostro enorme debito pubblico (circa 50 miliardi l’anno) venisse utilizzato proprio per ridurre il debito.

L’impressione che non facciamo più le formiche ma un po’ le cicale, ha scatenato la reazione di Berlino, che si è fatta sentire sia a Bruxelles (Ue), sia a Francoforte, dove c’è un presidente italiano (Draghi) ma una struttura molto vicina alla Bundesbank. E così a inizio gennaio è arrivata la “pugnalata” della famosa lettera della Bce che avrebbe chiesto alle banche italiane (tranne qualcuna, come Intesa) informazioni aggiuntive sui crediti in sofferenza. Alla luce anche della svalutazione al 20% delle quattro banche (Marche, Etruria, CariFe e CariCHieti) salvate per decreto. E da lì che è partito l’affossamento dei titoli bancari e quindi di Piazza Affari.

Con gli investitori pronti a scappare o speculare (come gli hedge fund più “cattivi”) quando la Germania ci mette nel mirino (com’era successo nel 2011 e vi ricordate come andò a finire) e sulla presunta debolezza finanziaria delle nostre banche. In particolare su quelle considerate più fragili come il Montepaschi tanto che i Cds, credit default swap (i certificati che assicurano il rischio credito) della banca senese sono arrivati fino a 570 punti. Più o meno il livello che avevano i Cds della banca americana Lehman prima del fallimento. E con il rischio che la debolezza di Piazza Affari prosegua fino a quando non sarà terminato il braccio di ferro con Berlino e posto fine (magari con interventi più robusti di quelli pensati finora, chiamando in causa magari le garanzia della Casa depositi e prestiti sfidando così le regole europee) al nodo delle sofferenze bancarie.

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