Boris Giuliano, Giannini: "Da solo contro la mafia"

Adriano Giannini interpreta il poliziotto ucciso nel ’79

Adriano Giannini è Boris Giuliano (Ansa)

Adriano Giannini è Boris Giuliano (Ansa)

Milano, 24 maggio 2016 - ADRIANO Giannini, lei interpreta il commissario Boris Giuilano nella fiction in onda su Raiuno (stasera la seconda e ultima parte). Lei e il regista Ricky Tognazzi siete miracolosamente riusciti a evitare la retorica agiografica in cui troppo spesso la fiction cade...

«Non volevamo dare una rappresentazione edulcorata, dipingere un santino che non esisteva. Abbiamo voluto mantenere rigore e asciuttezza, restando aderente ai personaggi. Il rischio maggiore è nelle scene familiari. Troppo spesso, purtroppo, nelle fiction si rappresentano dei presepi felici quanto inverosimili».

Di recente la fiction su Felicia Impastato ha avuto uno straordinario successo. Come mai il pubblico si appassiona così tanto a questo genere di vicende?

«Speriamo lo faccia anche con la nostra... È qualcosa che appartiene alla storia del nostro Paese. È il fascino del malaffare, ma per fortuna ci sono anche le storie dei buoni. Queste fiction rievocano delle ferite ancora aperte nella coscienza del nostro Paese. È vero che forse alla sera la gente ha bisogno di distrazioni, di commedie leggere. Penso però che abbiano successo tutte le fiction a patto che siano realizzate bene».

Un esempio clamoroso è “Gomorra”. Molti però reputano che la serie di Sky renda i criminali troppo affascinanti, al punto da diventare modelli per i ragazzi. Nella vostra fiction, invece, i mafiosi vengono rappresentati brutti, rozzi, antipatici. Non esiste un pericolo nel dipingere i fuorilegge in modo troppo seducente?

«Teniamo conto del fatto che i nostri mafiosi sono quelli di 30, 40 anni fa. In quanto all’osservazione, si tratta di una riflessione antica come l’audiovisivo. Non ho informazioni a proposito, non so se dopo “Gomorra” o “Romanzo Criminale” la criminalità organizzata è aumentata... Certo il rischio che qualche ragazzo possa identificarsi esiste».

Lei aveva otto anni quando Boris Giuliano è stato ucciso, nel 1979. Prima di affrontare il personaggio per la fiction, cosa ne sapeva?

«Qualcosa di approssimativo. Sapevo qualcosa dai tempi della scuola, alle elementari avevo un maestro molto illuminato che cercava di sensibilizzarci nella maniera giusta alle problematiche sociali. Credo che negli anni ’70 gli sforzi dello Stato si indirizzassero soprattutto nella lotta al terrorismo, la mafia veniva un po’ in secondo piano. Ma l’epoca di Boris Giuliano è molto diversa, rispetto a oggi, allora erano in pochi a combattere la mafia, c’era poca attenzione. Boris agiva da solo, erano cinque poliziotti, qualche Volante e tre radio che nemmeno funzionavano bene. Non aveva alle spalle le istituzioni, combatteva la mafia da solo».

A proposito dell’Italia e dei suoi guai: lei ha detto che uno dei mali del nostro Paese è la famiglia, intendendo che i giovani vengono troppo protetti dai genitori.

«Negli Usa, e in molti Paesi europei, i ragazzi vanno via prima di casa. È vero che il nostro Paese investe pochissimo sui giovani, che hanno scarse opportunità. In più si aggiunge la nostra tendenza a essere pigri».

Lei invece in America è andato, ma poi è tornato...

«In realtà non sono mai andato. Anche la serie americana che ho fatto, “Missing”, in realtà era girata tutta in Europa».