Il troll mi guarda storto. Se potesse mi ucciderebbe, questo è sicuro. L’abominevole creatura norvegese ha una faccia che non mi piace. Neanche il resto, per la verità. Il fatto che sia alto un metro e 20 non mi rassicura: i troll – si sa – sono noti per la loro malvagità. Sì, ha una gran voglia di farmi fuori, è evidente. Lo si capisce da quel nasone con cui annusa l’aria, cioè la preda, cioè me. Stupida creatura rozza e irsuta, cosa vuoi? La mia vita? Tiene le quattro dita della mano destra inerti lungo il fianco peloso. Anche le quattro della sinistra sono immobili. Ma potrebbero scattare da un momento all’altro. Per strozzarmi, naturalmente: gli piacerebbe, al troll. Le otto dita dei piedi, cumulativamente, non muovono un passo. Per ora. Ma chissà se durerà. Colpa mia: non dovevo entrare nel suo rifugio. Gli sono andato troppo vicino: mi pare di sentire il tanfo dei suoi capelli incolti, il lezzo selvatico della pelliccia. Basterebbe questo a uccidermi. Ma certamente lui preferisce farlo in altro modo. Chiaro: si sa che i troll sono molto violenti. Fermi tutti! Ha appena mosso le 4+4 dita dei piedi! Ne sono sicuro. Sta per avventarsi su di me, povero turista indifeso! Oddio, è finita. Mi guardo intorno, cerco una via di scampo. Eccola! Fuggo come un dannato dal negozio di souvenir di Oslo. Addio pupazzo di troll, non ti comprerò mai.

(Gianluigi Schiavon)