Samir aveva uno squalo sulle spalle. Non gli faceva paura. Era immobile. Di gomma. Non come quell’altro. Samir affondava passi lenti nella sabbia, lungo la spiaggia di Mazara del Vallo. Non era come affondare veramente. Ogni tanto si fermava, per girarsi e guardare il mare: laggiù, oltre il Canale di Sicilia, 200 chilometri più a sud, c’erano le sue coste, la Tunisia. Il mare oggi era calmo e piatto. Non come quell’altra volta. Con un po’ di fortuna l’avrebbe venduto – pensava – il suo squalo gonfiabile. Magari a un bambino. Con un po’ di fortuna non l’avrebbe più riattraversato, quel mare. Poi Samir riprendeva a camminare: sullo sfondo del tramonto il suo profilo, deformato dallo squalo aggrappato alla schiena e al suo futuro, faceva un certo effetto. Non come con quell’altro, no, questo no.

Samir non poteva dimenticare: i pescatori di Mazara, le onde furiose, quasi quanto le fauci che sentì improvvisamente aprirsi alle sue spalle, e la sua mano che mollava la presa su dita più piccole, e le braccia dei pescatori che lo tiravano su un’altra barca mentre la sua e di tutti gli altri andava giù, e lui che urlava “Aspettate, c’è anche Karim”, ma Karim già non era più lì. E nemmeno lo squalo.

Samir dovette fermarsi un’altra volta lungo la spiaggia, per non annegare nel dolore. Fu in quell’esatto istante che sentì qualcuno alle sue spalle. E si voltò di scatto. Come l’altra volta. E vide un bambino, che gli chiese: “Mi regali lo squalo?”. E gli parve un piccolo fantasma. Perché gli sembrò assomigliasse a suo figlio Karim. E gli diede lo squalo di gomma. E il bambino sorrise.

Samir ora non aveva più uno squalo sulle spalle. E il bambino già non era più lì. Ma non come l’altra volta.

             Gianluigi Schiavon