Marta Marzotto
Marta Marzotto

Reggio Emilia, 30 luglio 2016 – «VOLATE alto, metteteci fantasia. Se non avete una storia d’amore, inventatevela».

Era così lei. Non si poteva catalogarla, imbrigliarla, descriverla. Controversa e colorata. Libera. 

Marta Marzotto, la contessa, reggiana fino al midollo, è morta ieri all’età di 85 anni nella clinica milanese in cui era ricoverata da qualche tempo. Una donna divenuta simbolo, un’icona di stile che ha attraversato i cambiamenti del secolo breve e li ha interpretati fino all’ultimo respiro, nei suoi caftani sgargianti, nei colbacchi di pelliccia, in tutti quei gioielli affastellati che però non hanno mai brillato quanto il suo sorriso. Era quello il suo più grande ornamento.

‘Marta da legare’, come amava essere apostrofata (chiamerà così anche una sua linea di abbigliamento) era nata fra Albinea e Scandiano il 24 febbraio 1931. Sua madre, Alma Spadoni, rimase incinta a 24 anni di Guerrino Vacondio, che ne aveva 18. Si era presentato nell’aia della famiglia Spadoni come bracciante e quando i fratelli di Alma scoprirono della gravidanza si infuriarono.

Guerrino scappò, forse verso Novellara (fra le frazioni di San Giovanni e Santa Maria). Per questo, per i primi tre anni di vita, la piccolina venne affidata alle suore di Reggio come figlia di Nn. All’anagrafe la chiamarono Carla Iarri, che fu cambiato in Marta Vacondio (suo nome da nubile) solo quando le religiose rintracciarono i veri genitori e li spinsero al matrimonio.

«Facendo le carte per sposarmi, scoprii che prima di chiamarmi Marta Vacondio mi chiamavo Carla Iarri – spiegava lei al settimanale Oggi nel 1991 –. Evidentemente quando mi misero in brefotrofio mi dettero un nome di comodo. Poi una suora, suor Marta, tanto ruppe le scatole a mia madre che gli zii ricercarono Guerrino e gli fecero sposare la sorella. Allora tornai a casa ed ebbi il mio vero nome: Marta, in onore della suora, e Vacondio da mio padre».

Mamma mondina, papà manovale nelle ferrovie, presto si trasferirono nel Pavese, dove anche Marta andò a lavorare nelle risaie con la madre. «Mi fasciavo le gambe con le pezze per proteggermi dalle foglie taglienti del riso e dalle punture di zanzare. Le bisce d’acqua e i topi mi sgusciavano tra i piedi nudi affondati nella melma, ero terrorizzata», ricordava spesso.

La svolta arrivò a Milano nel 1947; lei – adolescente e bellissima – aveva trovato lavoro in un magazzino. Fu notata da Boccassile e scritturata per fare la modella. Quattro anni dopo, durante una sfilata al Lido di Venezia, il suo sguardo incontrò quello di Umberto Marzotto, il «conte corrente» come lo chiamavano allora per via di quella passionaccia per le corse automobilistiche.

Da quel matrimonio durato trent’anni – e piuttosto libero a dire il vero («nella mia infedeltà ero fedelissima, sono stata un’ottima moglie», scherzava lei) – nacquero cinque figli: Paola, Vittorio Emanuele, Matteo, Maria Diamante e Annalisa (morta di fibrosi cistica nel 1989)

Musa di Renato Guttuso, adorata dal politico Lucio Magri, desiderata da Sandro Pertini («mi telefonava tutte le mattine alle 7,45 in punto per una chiacchierata che si concludeva sempre con ‘Marta, si ricordi che lei è amata da un grande pittore e adorata da un piccolo presidente’»), ha fatto della sua vita un’opera d’arte.

«Non tutti sanno che Marta Marzotto è di Reggio Emilia, che è la città in cui vivo, che ha come caratteristiche la passione, la laboriosità, l’ingegno, e tutte queste caratteristiche molto forti si ritrovano anche in lei», ha detto ieri Carla Gozzi, esperta di moda e volto noto di Real Time.

Perché le radici di quella «libellula d’oro», nomignolo datole da Guttuso, affondano profonde nella terra reggiana. Reggio, Scandiano, Ca’ de Caroli («aveva gli zii materni Dirce e Davide che vivevano a Ca’ de Caroli; persone umili, lui raccoglieva ferri vecchi e rottami usati, li ricordo perfettamente», rammenta l’ex sindaco di Scandiano Valda Busani).

Ma anche Valle di Albinea, dove la piccola Marta veniva in bici a trovare la nonna, una volta finite le scuole. Guerrino la metteva sulla canna e pedalando arrivavano fino alla casa di Marcellina, «dove assieme dormivano su grandi sacconi di foglie di granoturco e lenzuola che odoravano di pulito», si legge nelle sue biografie.

Di quelle umili origini, Marta Marzotto aveva fatto la sua forza. Il suo punto di rottura. Ciò che la distingueva da tutte le altre cortigiane dei salotti milanesi. La regina, indiscussa, era lei.

Anche perché rideva forte, di quel mondo, di quel prendersi sul serio. Lo sapeva che si fa così per riuscire meglio ad andare avanti. «Io alla vita ho sempre sorriso, lei a me non sempre», diceva ripensando alla morte della figlia Annalisa. E sul tempo che passava, tagliava corto: «Io non ho età, sono immortale. Bloccatemi se siete capaci».