REGGIO CARUSO

Reggio Emilia, 5 marzo 2017 – Sulla carta, doveva essere un’udienza senza troppi colpi di scena quella di ieri del processo Aemilia. Ma gli animi si sono accesi sul finale, quando è emerso che una delle presunte vittime di una estorsione, che all’inizio della mattinata era stata dichiarata «morta», in realtà avrebbe «preso un caffè dieci giorni fa alla stazione di Bologna. È vivo, sta benissimo», ha esclamato il suo amico davanti ai giudici.

Così, tra gli imbarazzi e le risatine di giudici e avvocati davanti a quel siparietto surreale, si è deciso di procedere a districare questo giallo. «Faremo accertamenti sulle condizioni della parte offesa», ha detto il pm antimafia Marco Mescolini.

Tutto comincia all’apertura dei lavori, nell’aula speciale di via Paterlini. In calendario c’era la deposizione del maresciallo Emilio Veroni, del nucleo investigativo dei carabinieri di Modena, incentrata sugli accertamenti relativi a una presunta estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni di due imprenditori edili di origine calabrese: Salvatore Soda e Domenico D’Urzo.

In sostanza, «a fronte di un debito di circa 30mila euro relativo al noleggio di alcuni ponteggi – si legge nel capo di imputazione» – i due erano stati costretti a consegnare a Gaetano Blasco e Antonio Valerio una Audi A6 del valore di circa 24mila euro. Non solo. Secondo le accuse, i due avrebbero ceduto anche «un credito vantato nei confronti della Bianchini Costruzioni srl, anche per il pagamento di ore di lavoro prestate dai loro operai nei cantieri» dell’imprenditore della Bassa modenese. Imputati per quel reato, oltre a Blasco e Valerio, Michele Bolognino e Karima Baachaoui.

«Abbiamo sentito in gennaio D’Urzo, ma non Soda perché è deceduto», taglia corto il maresciallo su domanda del difensore di Valerio, Francesco Miraglia. Così la sua testimonianza – che in alcuni punti differiva dalle ricostruzioni del capo di imputazione – si esaurisce.

Sono circa le 12. L’udienza sarebbe dovuta finire alle 14. Il presidente del collegio dei giudici, Francesco Maria Caruso, chiede quindi ai carabinieri di rintracciare, se possibile, Domenico D’Urzo (nato a Toronto da padre di Vibo Valentia, classe 1968) e di portarlo d’urgenza a testimoniare. E, nel giro di una mezzora, D’Urzo arriva a deporre.

«NON sono mai stato socio di Soda, assolutamente. Semplicemente l’ho proposto io al signor Bianchini, bravissima persona, perché mi aveva offerto un lavoro su un cantiere ma a me a quel prezzo non interessava», ha detto il testimone.

«Il lavoro è avvenuto con Soda subappaltatore, ma hanno avuto attriti e problemi sui pagamenti. Bianchini mi chiamò per calmare Soda, che pretendeva di essere pagato e minacciava di scrivere una lettera tramite un avvocato e denunciare Bianchini alla committenza. Invece Bianchini non voleva dargli niente,contestava i lavori».

E Soda aveva ragione?, chiede il giudice. «Secondo me sì». E allora perché lei doveva convincerlo a non denunciare Bianchini?, ribatte Caruso. «Io ho solo cercato di mediare tecnicamente. Ma potevo fare ben poco. Soda quella lettera poi l’ha fatta».

D’Urzo  – che oggi lavora per la diga di Mosul – ha raccontato di due incontri, nel corso di questa sua presunta mediazione. «Mi ha chiamato Bianchini e mi chiesto di incontrarci a Montecchio. Sono andato e mi ha portato nell’azienda di Michele Bolognino, che io conoscevo solo di vista. C’erano anche due miei carissimi amici: Gaetano Blasco e Tonino Valerio». Carissimi?, esclama il giudice. E lei sapeva dei loro precedenti? «Sì, ma tra noi calabresi si dice così». E la macchina di Soda? «L’ha dovuta vendere per pagare i debiti, perché Bianchini non lo pagava».

Spazientito, Caruso alza la voce. Mi dica le cose, me le dica, perché lei le sa! Perché Bianchini può non pagare i suoi creditori e Soda deve vendere la macchina? «Non lo so».
Il giudice, a quel punto, si gioca l’ultima carta per verificare l’attendibilità del teste. Soda dov’è? «In Sicilia, si è separato dalla moglie e convive con una nuova compagna». Brusio in aula. «Lo so che i carabinieri dicono che sia morto, ma io l’ho visto alla stazione di Bologna dieci giorni fa, non è morto, sta bene».

Può darsi che preferisca passare per morto… I siciliani questa cosa ce l’hanno. Il fu Mattia Soda?, ironizza Caruso. Ma D’Urzo prosegue imperterrito: «Quando gli ho detto che doveva essere morto anche lui è rimasto sorpreso. Poi ci siamo visti e abbiamo preso un caffè alla stazione di Bologna».