Reggio Emilia, 17 settembre 2015 – Continua a picchiettare le dita sul tavolo. Distrutto, ancora, dopo due anni. Gli occhi che si allagano e corrono via, a dissimulare un pudore e una vergogna che non dovrebbero trovare spazio, mai, per questo.

«Sono stato massacrato perché sono gay. Mi hanno spaccato la faccia in pieno giorno, di mattina, in corso Garibaldi, davanti ai passanti. Quel ragazzo si è fermato solo quando mi ha visto a terra in un lago di sangue. E dopo tutto questo tempo lui è ancora a piede libero e io continuo a chiedere giustizia».

Il racconto di Domenico si muove veloce, come lo hanno fatto i suoi 37 anni. Corre a quel giorno, a quella sofferenza.

Era il 24 giugno del 2013, le 9,30 circa. «Stavo camminando all’inizio di via Farini, un giovane veniva nella direzione opposta, verso corso Garibaldi. Quando i nostri sguardi si sono incrociati mi ha squadrato con scherno, un sorrisino e ‘Ciao finocchio’. Poi ha proseguito per la sua strada».

Scuote la testa, di nuovo. Le mani cominciano a tremare. «Io sono rimasto basito, stupito, choccato. Ero indignato che un perfetto sconosciuto potesse apostrofarmi così, in mezzo alla strada. Allora mi sono girato e ho deciso di andare a chiedergli spiegazioni. Quando l’ho raggiunto era già in sella alla sua moto, parcheggiata davanti al cinema Al Corso, con il casco in testa. Mi sono avvicinato e in maniera decisa mi sono rivolto a lui: ‘Perché scusa? Chi sei? Come ti permetti?’. Quel giovane, senza parlare, è sceso dalla moto e mi ha sferrato quattro pugni in faccia. Con una violenza inaudita. Tanto da farmi crollare a terra».

Non smette di toccarsi il viso, Domenico; a indicare i segni indelebili di quell’aggressione che porta come una maschera. Come un simbolo, una bandiera di riscatto, per un’intera categoria.

«Il primo è arrivato in mezzo alla fronte. Poi lo zigomo, che mi ha spaccato, facendolo rientrare. Infine uno sul naso e uno in bocca. C’erano tante persone intorno che hanno visto che cosa è successo e hanno chiamato i soccorsi, l’ho fatto anch’io».

In pochi minuti, dice, sono arrivati ambulanza e polizia e hanno raccolto le versioni di entrambi. «Sono stato portato al pronto soccorso, mi hanno medicato e mi hanno dato 15 giorni di prognosi per lesioni. Poi sono stati aggiunti altri 30 giorni, perché i problemi alla masticazione sono risultati essere davvero pesanti. Non potevo aprire la bocca, ho dovuto seguire una dieta liquida per settimane. Per fortuna mi hanno aiutato i medici del maxillofacciale di Parma».

Due denunce presentate in questura nell’arco di pochi mesi («per aggiornare gli investigatori sull’aggravarsi della prognosi»). E la consapevolezza che l’altro ragazzo («sarà alto 1,80, fisico sportivo, sui 30 anni, vestito come uno di buona famiglia») continui a raccontare tutta un’altra verità.

«Lui dice che sono stato io ad avvicinarlo per primo chiedendogli di provare la sua moto e che al suo rifiuto avrei tirato dei calci al mezzo. Così lui, spaventato, avrebbe reagito in quel modo per difendersi. Peccato che io non sia mai salito su una moto in tutta la mia vita… », sorride sarcastico.

«In un’altra occasione, poco tempo fa, ci siamo incrociati in via Emilia e lui ha chiamato il 113 dicendo che lo stavo seguendo, perseguitando. Forse è una strategia, non so. Sono allibito. Come potrei seguire uno che mi ha ridotto in fin di vita? A che scopo?».

Fa notare la sua altezza e il suo fisico: «Sono più basso, non vado in palestra, lui è più grosso di me; avevo paura anche a uscire di casa, dopo quello che mi è successo. Ero terrorizzato dalla possibilità di incontrarlo. Ho avuto 45 giorni di prognosi, che si sono trasformati in un calvario molto più lungo. Con difetti di masticazione che rischiavo di portarmi dietro per sempre. Ora vorrei sapere come sia possibile che dopo due anni dall’episodio ancora non sia partito il processo».

Un fascicolo è stato aperto dal sostituto procuratore Valentina Salvi e l’aggressore è indagato per lesioni gravissime e diffamazione. Sono partite querele e contro-querele nel frattempo che parlano di avance pesanti, di profferte sessuali, di altri referti, di una colluttazione, un’aggressione reciproca. Di certo c’è che sul registro degli indagati, per l’episodio di violenza, ora, c’è soltanto una persona. E non è Domenico.

«Io chiedo solo che venga fatta giustizia», dice davanti a un cappuccino buttato giù a fatica. «Ho trovato la forza di raccontare tutto questo, soltanto perché non accada mai più; per gridare con forza che queste cose succedono e succedono anche nella tranquilla Reggio. Perché c’è in discussione una legge sull’omofobia ed è giusto che tutti sappiano che cosa siamo costretti a subire. Ecco perché, dopo due anni».

Fa un cenno. Gli occhi tornano a riempirsi di lacrime. Però, stavolta, abbozza un sorriso: «Speriamo che tutto questo serva a qualcosa».