Reggio Emilia, 16 ottobre 2016 –  LA SFILATA dei «non so», «non ricordo», «nessuna minaccia, davvero, tra di noi usiamo questi toni, amichevoli». Amichevolmente, scandisce ancora. Giusto per chiarire.
«Ah, amichevolmente la voleva ammazzare, dunque? Amichevolmente le voleva sparare?», sbotta il giudice Francesco Maria Caruso, visibilmente alterato. «Certo, pensi che dopo quella telefonata con Silipo ci andavo a prendere il caffè, fino a quando non è stato arrestato».

Eccola l’udienza di venerdì del processo Aemilia, nell’aula bunker del tribunale di Reggio. Un’udienza fatta di tutto ciò che non è stato detto; ciò che è rimasto tra le righe dei capi di imputazione, nelle voci tremanti di alcuni testimoni e in quelle troppo sicure di altri.

Un’udienza in cui sono state ascoltate alcune presunte vittime di estorsioni, intimidazioni, incendi. Le stesse persone che avevano raccontato, verbalizzato e firmato le loro dichiarazioni davanti agli investigatori, qualche anno fa, per poi smentirle ieri davanti al collegio.

Nessuno di loro, in sostanza, ha mai ricevuto alcuna minaccia. Mai.

«Silipo mi ha detto che mi sparava al telefono per debiti che avevo sul lavoro? Ma tra noi calabresi usa così…  Voi non capite i nostri toni amichevoli… Per voi sarà una minaccia, per me no», ribadisce più volte Salvatore Palmo Rotondo, muratore cutrese di 57 anni.

Imputati – per estorsione aggravata dal metodo mafioso verso di lui e un altro imprenditore – Gaetano Blasco, Antonio Valerio, Eugenio Sergio, Alfonso Frontera e Karima Baachaoui, assieme ‘all’amico’ Antonio Silipo (già condannato in abbreviato a 14 anni di reclusione), con cui andava spesso a prendere il caffè.

«Ascolteremo le telefonate intercettate, se sono diverse da ciò che afferma andrà a processo per falsa testimonianza», taglia corto il presidente del collegio.

Avanti un altro. È la volta di Antonio Olivo, imprenditore edile crotonese di 68 anni, ex consigliere comunale del Pd per due legislature. È indicato nelle carte come vittima di un rogo, sviluppatosi nella copertura in legno della palazzina che nel novembre del 2005 era in costruzione in via Mascagni 9.

Alla sbarra, per i reati di incendio e danneggiamento a seguito di incendio (tutto aggravato da metodo mafioso), Gaetano Blasco, calabrese di 54 anni residente a Pieve Modolena, che assisteva alla deposizione dalla gabbia di sicurezza.

Non ha fatto in tempo a sedersi davanti al microfono, lui. «Lei ha subito un incendio in un cantiere, signor Olivo?», chiede il pm antimafia Marco Mescolini. E senza nemmeno aspettare la fine della domanda: «Quell’incendio si è provocato da solo». Il giudice scalpita di nuovo: «Ha risposto a un’altra domanda, questo potrebbe far dubitare della bontà della sua testimonianza… »

E ancora,si procede veloci nella lista dell’accusa. Paolo Antonio Capone, presunta vittima di estorsione da parte degli imputati Antonio Valerio e Giovanni Sicilia (già condannato a un anno in abbreviato). «Ai carabinieri ha dichiarato che Valerio le aveva prestato 500 euro, poi a causa di pressanti telefonate per riavere i soldi lei ha fatto perdere le sue tracce, trasferendosi in Puglia; è così?», domanda il magistrato. «No, sono andato in Puglia per diverbi dopo la separazione con mia moglie. I carabinieri si saranno sbagliati». E via di non ricordo, non so. Un ritornello. «Ah, quindi i carabinieri hanno scritto il falso? Se lo sono inventati?», alza la voce di nuovo Caruso. «Non sto dicendo questo… È passato tanto tempo… »
Il pm legge il contenuto dell’intercettazione, pesante, che allude alla moglie, ai figli. «Non la ricordo», insiste lui. «Allora valuterà il magistrato che la giudicherà per falsa testimonianza», chiosa di nuovo il presidente del collegio.

L’ultimo, Marcello Dall’Argine, 40enne di Sant’Ilario, ennesima presunta vittima di estorsione, in concorso, da parte degli imputati Antonio Floro Vito, Salvatore Sestito, Rosario Falsetti, Antonio Muto (classe 1971) e Antonio Silipo, per aver lavorato in un cantiere e non essere stati pagati. Dall’Argine, con la sua società, era il committente. «Io? Mai ricevuto minacce». Nessun dubbio, lui. «Mi dicevano solo che avrebbero fermato i lavori se non avessero avuto i soldi». Però, ripete, nessuna minaccia.

Benvenuti al processo Aemilia.