Ho letto in passato mail di altri pendolari che hanno posto lo stesso quesito (evidentemente interessa a più d’uno) e mi piacerebbe che si riuscisse a trovare una risposta. In due parole. Quando i pendolari arrivano in ritardo, i datori di lavoro chiedono di “scalare” le ore perdute dai permessi retribuiti e quando questi sono terminati dai permessi non retribuiti, infine dalle ferie. Oppure chiedono che si recuperino le ore di lavoro perdute. Le aziende hanno il diritto di farlo, ma tutto questo è giusto nei confronti di chi lavora e usa il treno? Gianfranco, Varese

Certo che no, caro lettore. Non è giusto. Scontato dire che non è affatto giusto. I pendolari si presentano in ritardo sul posto di lavoro, disidratati dal caldo o ghiacciati dal gelo, con davanti la prospettiva di una giornata di impegno, del tempo da recuperare, del viaggio di ritorno. Logico che le ferrovie sono responsabili di questi ritardi, provocati da rallentamenti, soste impreviste, cancellazioni dei treni. Con gli inevitabili cali di rendimento aziendale, se vogliamo definirlo in questo modo.

Non fermiamoci qui e cerchiamo di intenderci su un punto, un punto che ci pare importante. L’utilizzo dei permessi è sacrosanto, ma certamente i permessi non sono stati inseriti nei contratti di lavoro delle varie categorie come rimedio e panacea ai disservizi delle patrie ferrovie. Il recupero delle ore “perse” è una pratica comune nelle aziende. Questo non si discute. Soltanto che per il pendolare che si è alzato la mattina presto per raggiungere la stazione di partenza, che lavora e che la sera vorrebbe almeno rincasare a un’ora decente, tutto questo si risolve in un altro carico di sforzi non pagati e nella perdita di ore e giornate di riposo, tempo libero, vita privata, libertà e altro ancora. È ovvio che non siamo in grado di proporre alcuna soluzione, però ci fa piacere ricordare al nostro affezionato corrispondente varesino la personale “ricetta” suggerita anni fa da una lettrice che era intervenuta sullo stesso argomento.

Eccola: «Propongo di trovare una formula equa da indicare ai datori di lavoro per i ritardi e la conseguente mancata produttività dei loro dipendenti: addebitare questi costi non più ai pendolari, in termini di diminuzione del “monte” permessi e ferie, bensì, mensilmente, alle ferrovie. Solo questo potrà essere il giusto indennizzo sia per i pendolari sia per le aziende e lo Stato si renderebbe conto, toccandoli con mano, dei costi nascosti che può provocare un disservizio prolungato. In altri termini, le ferrovie paghino non solamente per i ritardi e i disagi patiti dai loro utenti ma anche per il calo di produttività causati dai ritardi suddetti». Una proposta da meditare attentamente. Poi si potrebbe anche aprire un tavolo di dibattito. [email protected]