CIRCA un anno fa, avevo scritto a Vita da pendolare per avanzare una proposta. Era quella di fare sentire la protesta di noi che ogni giorno prendiamo il treno con queste modalità: si presentava il controllore a chiedere il biglietto e noi lo avremmo mostrato con lo stesso ritardo che stava subendo il nostro treno. Si viaggiava con 20 minuti di ritardo? Bene, il controllore avrebbe atteso per altrettanto tempo prima di poter prendere visione del nostro biglietto o abbonamento. Beh, ci ho provato e non ci sono riuscito. Magari con un attimo di esitazione, ma ho esibito l’abbonamento. Più forte di me. Chi predica bene … Gianfranco, Varese

NON SI SENTA in colpa, caro lettore. La comprendiamo molto bene. Il civismo che anima noi pendolari è più forte di ogni altra cosa. E allora eccoci qui, nonostante i fieri propositi e la meditata protesta, pronti a esibire la prova cartacea della nostra ortodossia ferroviaria. In altre parole, che siamo in regola con biglietti e abbonamenti. Più forte di noi, appunto. La proposta avanzata a suo tempo dal nostro lettore era certamente suggestiva e dalle mail arrivate veniva condivisa anche da altri pendolari. Anche se c’era da chiedersi cosa sarebbe accaduto se il treno (scongiuri fatti) si fosse trovato in ritardo di un’ora: pendolare e capotreno a fronteggiarsi per tutto quel tempo, in un’atmosfera di attesa surreale che sarebbe piaciuta a Samuel Beckett, prima dell’apparizione del fatidico documento di viaggio. Dialogo. Capotreno: “Biglietti”. Pendolare (caustico): “Ripassi fra un’ora”. Capotreno (stupito): “Ma fra un’ora saremo arrivati”. Possibili risposte del pendolare: (caustico) “Sicuro che fra un’ora saremo arrivati?” oppure (falsamente serafico) “E a me?” (e qui si sarebbe fermato perché, solitamente, il pendolare è persona educata). Cancelliamo tutto e studiamo altre forme di educata protesta.

Il corrispondente varesino e gli altri lettori ci scuseranno e raccontiamo nuovamente un episodio che affonda nella nostra lunga memoria di viaggiatori. Estate piena. Treno dalla Riviera. Ritardo di un paio d’ore o giù di lì. La meta agognata della Centrale si stava finalmente avvicinando. Comparve il controllore con la richiesta dei biglietti. Il primo viaggiatore interpellato reagì con un moto in cui si mischiavano stupore e soprattutto incredulità. La reazione del secondo fu adirata, veemente, e richiamò altri passeggeri, assiepati nel corridoio. Alle spalle dell’incauto controllore si formò, come d’incanto, una sorta di muraglia umana, esasperata, urlante, minacciosa. Il peggio venne evitato solo per un soffio dall’intervento di un paio di viaggiatori, ancora in possesso di autocontrollo, che trascinarono l’incauto all’interno di uno scompartimento. Lì gli venne spiegato quale imprudenza aveva commesso e come la sua latitanza sarebbe stata oltremodo gradita fino all’arrivo a Milano. [email protected]