È la seconda volta, nell’ultimo anno e mezzo, che scrivo a “Vita da pendolare”. La domanda e le perplessità sono sempre le stesse. Cancellazioni di treni, ritardi, soste impreviste e prolungate, disguidi vari si verificavano anche in passato oppure sono una prerogativa (triste) dei nostri tempi? Non ho antenati pendolari, mi manca quindi il conforto di una memoria storica. Renato, Voghera (Pavia)

Come no, caro lettore? La consolazione che se ne può ricavare è assai magra ma facciamola bastare. Anni fa il professor Andreas Schafer, dell’università di Cambridge, ha studiato i tempi di percorrenza per gli spostamenti in città e ritorno a partire dagli abitanti di Persepoli e dell’antica Roma in poi. Ha scoperto che le città erano disegnate in modo tale che il tragitto prendesse un’ora e mezzo di tempo; più o meno come al giorno d’oggi. Arrivò il tram che prolungò il tragitto fino a dieci chilometri, che divennero venti con l’avvento dell’automobile. «I pendolari – scriveva il professore – impiegavano in media 80 minuti per andare a lavorare e tornare a casa». Bella scoperta, verrebbe da dire, visto che i pendolari nostrani lo sperimentano ogni giorno. L’alta velocità ha ovviamente modificato il quadro. «Solo venti o trent’anni fa – dichiarava a suo tempo un portavoce della Gner, importante compagnia ferroviaria britannica – era improbabile affrontare un viaggio di oltre centro chilometri, mentre oggi si possono facilmente trovare persone che vanno a lavorare a Londra, ma risiedono a York, che dista 300 chilometri dalla capitale». Anche qui niente di nuovo, verrebbe da dire. Non è necessario varcare la Manica per trovare casi, anche eclatanti, di maratoneti del pendolarismo. Un nostro simpatico collega viaggiava da Arenzano a Milano con la compagnia inseparabile di una sveglia che, trillando, lo avvertiva dell’arrivo e lo svegliava al ritorno. Conosciamo un bancario che per anni, con qualunque condizione meteorologica, ha pendolato fra Pavia (casa) e Mantova (ufficio). E i pendolari da Sondrio a Milano, da Lecco, da Cremona, da Mantova, dove li mettiamo? Giornate interminabili, sveglia all’alba o quasi e rientro con il buio, gelo e saune, sonno e fatica. Menzione d’onore anche per loro. Citazione finale quasi d’obbligo per un amico, Cesare Carbonari, a lungo portavoce dei viaggiatori della linea Torino-Milano, nonché autore di un bel libro di ritratti e ricordi, che ogni mattina s’imbarcava alla stazione di Porta Susa per raggiungere la metropoli lombarda dalla vecchia capitale sabauda (e naturalmente ritorno). Tutti da applausi. Prendiamone atto e consoliamoci. Chi ci riesce. [email protected]