Il loro niente e il nostro tutto. I loro figli e la nostra crescita zero. Il mondo sta cambiando, e ci fa paura. Oramai non si può più parlare di razzismo o di intolleranza. La marea umana che sta lasciando territori dilaniati dalla guerra, dall’estremismo islamico e dalla fame ci sta mettendo di fronte alle nostre estreme debolezze.

Servivano quelle foto, di quel bambino annegato morto sulla riva, e l’altra, della piccola speranza che gattona davanti all’esercito in armi, per farci capire quello che realmente sta accadendo. Una nuova era si apre, in cui nessuno potrà continuare a far finta di nulla.

Crescono gli appelli alla solidarietà, le raccolte di giochi e indumenti per i profughi. E noi apriamo gli armadi, e restiamo schiacciati, fisicamente e moralmente, dal superfluo che riempie le nostre case, mentre c’è qualcuno che con nulla, a volte anche senza scarpe, affronta l’ignoto. Come possiamo reggere e continuare con le nostre abitudini come se nulla fosse?

E intanto continuano ad arrivare famiglie con bambini, tanti. Per mare, per terra, camminando chilometri e chilometri. Il loro istinto alla vita è più forte di tutto, e ci dice che forse l’umanità può ancora scommettere sulla pace e sulla povertà. Perché se da noi non si fanno più figli per non perdere carriere sfolgoranti, serate in discoteca, o perché così non si può più vivere nell’abbondanza e nella spensieratezza, forse è ora di farci qualche domanda. Chi è più forte, noi o loro? E non è una mera questione di numeri, ma di coscienza.