NON È UN CASO che l’edizione internazionale del “New York Times” e il “QN-Il Giorno”, così come altri quotidiani italiani, abbiano messo ieri, in prima pagina, la stessa, grande, foto che ritrae due donne ferite dopo gli attentati di Bruxelles di martedì. Un’immagine impressionante scattata pochi istanti dopo le esplosioni nella metropolitana che hanno devastato la capitale belga. Si vede una signora, con il volto rigato da rivoli di sangue, i vestiti lacerati e lo sguardo disperato, che guarda il fotografo chiedendo disperatamene aiuto. Ma c’è anche una ragazza che, con la mano grondante di sangue, sta telefonando probabilmente ad un familiare o un amico per informarlo di essersi salvata e rassicurare, così, i propri cari. Quella foto ha un forte significato emotivo: da una parte, infatti, c’è l’immagine di una persona distrutta che ha il terrore negli occhi, dall’altra si vede la giovane che, pur ferita, ha ancora la speranza negli occhi, quasi volesse dire: «Ma io ce l’ho fatta!».
Ci sono, insomma, due volti che finiscono, in queste ore così drammatiche, per esprimere i sentimenti di tutti noi choccati dall’esplosione di violenza senza limiti, ma anche decisi a voltare pagina a dispetto delle troppe parole e dei pochi fatti concreti dei governi del Vecchio Continente. Il prestigioso giornale americano ha titolato a lettere cubitali: «I terroristi colpiscono il cuore dell’Europa». E ha aggiunto in un sommario: «Gli attacchi dimostrano che la Ue è incredibilmente vulnerabile». Il “New York Times” ha ragione, ma perché non si chiede anche cosa abbiano fatto Obama e gli Stati Uniti per fermare una simile escalation di violenza che ha coinvolto il mondo intero? Nonostante tutto, l’immagine di quella ragazza belga che rassicura i suoi cari mi fa comunque sperare in un futuro meno tragico.
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