L’altro giorno, scartabellando tra il fogliame della posta di redazione, ho pescato una lettera che ancora trasudava preoccupazione per la fine del mondo. Quella profetizzata dai Maya. Era firmata da una signora, scritta in stampatello e firmata. Giuro sulla mia testa che avrei voluto cestinarla senza appello. Non tollero le cavolate rimbalzate nei giorni scorsi, non sopporto chi ne ha fatto da cassa di risonanza, provo ribrezzo per chi riduce quel grande popolo a strumento di pettegolezzo da rotocalco di bassa lega. I patemi da apocalipse now, magistralmente anticipati e ironizzati da Dino Buzzati, sono materia consunta per il giornalismo. Ma, stavolta, credo che i Maya non siano stati capiti. Perché la fine del mondo c’è e c’è stata davvero.

Il baco della distruzione sta inghiottendo le nostre basi, il tarlo dell’ignoranza cammina subdolo nei comportamenti quotidiani, il seme della maleducazione getta a ripetizione. Per non parlare del germe della disonestà: quello viaggia che è una bellezza tra le nostre zucche malpensanti e astiose, riducendoci a cervelli senz’anima. Se poi vi voltate, troverete un alto concentrato di egoismo che è una specie d’epidemia non curabile, la quale può spesso degenerare in mancanza di rispetto. Ecco, questa è la fine del mondo. E, se per caso i Maya hanno sbagliato qualcosa, questo è certamente il nichilismo. Perché la fine non è irreversibile. Si può stoppare. Semplicemente volendolo. Non prendetevi dunque gioco di quella grande civiltà. Ne vide di tutti i colori. Fu conquistata, terrorizzata, prevaricata, decimata, ma non arrivò mai a questi livelli. Ecco, tale è la fine del mondo che avevano profetizzato quei grandi uomini del passato. Ma, anche stavolta, non ce ne stiamo rendendo conto.