L’uscita di scena è stata a piccoli, ma visibilissimi e dolorosi passi. Conclusi su un freddo ed estraneo apparato ligneo che, passivamente, lo trasportava, cigolando sulla rampa del centro Giovanni Paolo II. Così l’abbiamo visto noi cronisti, lo scorso 4 ottobre, dalla soglia della palazzina giallo canarino che l’ospitava alla pista dell’elicottero di uno dei suoi ultimi viaggi all’esterno delle mura vaticane.

Era un pomeriggio domenicale, eravamo a Loreto, su un gibbo che s’incurva sulla sterminata piana di Montorso. Quel giorno il Papa, Papa Ratzinger, aveva celebrato e ricordato la visita di Giovanni XXIII sul sagrato della Santa Casa. Una funzione difficile, ancora avvolta nell’aria dei veleni esplosi in Vaticano. Al centro, un pontefice evidentemente provato.

Poi, davanti al centro di Montorso, l’incontro con le autorità. E con i giornalisti. Eravamo lì, assiepati ai lati della breve salitina, poco oltre il cancello automatico. Aspettavamo il Santo Padre. Scortato dalle forze dell’ordine e dalle guardie vaticane. Lo vedemmo spuntare, stanco, esausto, condotto all’elicottero dell’Aeronautica. Un timidissimo applauso, incoraggiato perentoriamente dai gendarmi, si levò in quell’aria ferma e ancora calda, con lo sfondo cristallino del mare. Benedetto XVI accennò un timidissimo saluto a un gruppo di suore e fedeli oltre l’ingresso. Poi sembrò quasi dissolversi dietro il velivolo militare. Che s’alzò senza clamori. Nel mesto ritmo delle pale d’elicottero.