Si sono sbriciolati un mucchio di governi. E’ cambiato un Papa. Il giornalismo ha imboccato mille strade, con salite del diciotto per cento e tornanti insidiosi. Ma il rettilineo tracciato da Paolo Nonni, indimenticabile redattore capo del Carlino, tira dritto, su una strada lastricata di insegnamenti, modelli, prototipi umani e professionali. Il tempo non cancella la sua immagine. E, in quest’anniversario, bisogna dire la verità, la distanza si comincia a sentire davvero. Sulla scrivania del giornale, sono piantati due menabò. Linee tracciate con un righello imbrattato di pennarello nero, che ricorda quello del Capo, il più pignolo sulle pagine del suo Carlino, ma il più pasticcione sul desk del suo ufficio, in via Manzoni. Quei piccoli solchi sono il ritratto dell’uomo, maniacalmente preciso nel suo percorso giornalistico, ma con una vena artistica (sempre calibrata) che sgorgava intorno a lui e al suo mondo.

Nonni ha lasciato un messaggio che corre su quei binari di menabò: un percorso di coerenza e umanità che è il nostro lumicino quotidiano. Un sorriso, magari anche dissacrante e ironico, che impedisce di prendere e prendersi troppo sul serio. Anche quando si ha la penna in mano. Quella penna che ci ha sempre insegnato a far scorrere con serenità e con più limpidezza possibile. Già, serenità, limpidezza, sorriso, ironia. Caro Capo, dalla tua morte sembra passata un’eternità. Anche solo pronunciando quelle parole che ci hai insegnato. Quotidianamente.