Che dire. Se n’è andato un altro degli “amici sportivi”. Di quelli veri. Quelli che la voce narra, ma evoca pure. Quelli che il timbro diventa un archetipo. E tu cerchi di imitarli, ma non ce la fai. E diventi solo una grottesca fotocopia. Quando se ne va un classico della radiofonia, ci si sente orfani. Dietro di loro, solo schiere di manieristi pappagalli, spesso logorroici e urlanti quando non soporiferi. Ricordo lo sci: ricordo uno come Pigna, che magari non sapeva radiografarti la conduzione di Ingo Stenmark o di Much Mair, ma trasmetteva le atmosfere, la vivida emozione di una gara sui monti. Nel calcio è stato uguale: con i grandi cantori, è morto anche il grande sport. E i campioni di oggi hanno i narratori che si meritano. Nulla più: un mare di tecnicismi, virgole, punti e statistiche. Ma, decisamente, niente animo. Lo sport è per tutti. E tutti hanno diritto di conoscerlo: per le pignolerie, per i patiti, c’è il commentatore tecnico. E questo, oggi, le tv e le radio non vogliono e non possono capirlo. Quella della vecchia Rai è stata una generazione di “amici sportivi” che sapeva, in punta di piedi, entrare nelle case degli italiani.

Gli estetismi, gli occhialetti ultimo modello, la smania di apparire erano solo dietro a un microfono. Chi ha mai saputo, ad esempio, com’erano fatti Ferretti o Ameri? Oggi guardarsi la Formula Uno, il basket, lo sci (senza offese) è un esercizio chiuso. Privo di paesaggi e atmosfere, magari anche ingenui se vuoi, ma terribilmente umani. Questo, se permettete, manca oggi alle colonne dei giornali o ai microfoni. E, mi dispiace, ma non si legge e non si guarda più volentieri. D’accordo, forse parleranno le immagini: gli hd, i blu ray (si scrive così?) e il digitale dei sogni. Ma gli “amici sportivi”, quelli, non ci sono più. E davvero non c’è più nulla da dire.