E così se n’è andato anche il Frank Sinatra del giornalismo pesarese. Le sue epifanie in piazza del Popolo, in sella alla bici, l’occhio accigliato, il cappellino da ragazzo calcato in testa con la tormenta e col sole, ci mancheranno. E così pure i suoi blitz in via Branca, alla redazione del Carlino e il suo timbro ammaliante nei vecchi superotto della cittá veterocomunista. Quella cittá che lui affrontava come un Farinata dantesco, frustando di penna e fustigando con la parola. Sauro Brigidi, Brisa per i lettori, era un giornalista multimediale, un atleta polivalente del mestiere: tv, radio e sudate carte. Trascinava con lui tutti i tratti dei vecchi cronisti: il piglio, la polemica, la battaglia, l’immersione (oggi solo sbiadito miraggio) tra la gente. E quel suo, ancora oggi, troneggiare in piazza, in bici, con lo sguardo da lupo di mare, ne è l’affresco più fedele. Potevi amarlo oppure no, ma Brisa era un impeccabile del lead e della frase.
 
Chissá le urla che oggi avrebbe tirato addosso ai redattori giovincelli costruiti in provetta. Rocca Costanza, l’acquedotto, la Vis, la Scavo hanno tutte sapore di Brisa. Anche da piccolo, sui nove colonnoni del Carlino, intercettavo la sua vena. Uno dei più bei complimenti che conservo è un piccolo post giallo, dove Sauro, presente Paolo Nonni, vergó: “All’impeto del cronista di razza”. Quel “pizzino” lo attaccò su un mio saggio che aveva appena letto. Pensai ad uno scherzo. Ma Brisa lo accompagnó ad una poderosa stretta di mano. Di tante pagine macinate in tipografia, resta solo il ricordo. Ma, a un pesarese che passeggia per Pesaro, resta in testa la colonna sonora della vecchia cittá narrata da Saurone: la sua cittá ideale diventata documentario. Che criticava fino alle fondamenta, ma che amava più di ogni altra.