UN CONTRIBUTO «utile» tenuto fino all’ultimo in considerazione. Ma bocciato. Perché il piano Boeri contiene «elementi di equità» ma anche «costi sociali» non in linea con il mantra renziano: «Fiducia, fiducia, fiducia». A maggior ragione, ora che «l’Italia ha rialzato la testa – spiega il premier – ed è finita la dittatura dello zerovirgola». Il presidente dell’Inps è consapevole, spiegano da Palazzo Chigi, che il via libera alla pubblicazione online del piano non corrisponde a un ok sui contenuti. Sono tre i punti che non piacciono al governo perché hanno un impatto sociale: prelievo sugli assegni d’oro, ricalcolo delle pensioni anticipate e limiti di reddito per la flessibilità.
Sul primo punto, il contributo alle pensioni più generose (quelle disallineate dalla storia contributiva), si è espresso lo stesso Renzi nelle anticipazioni del libro di Bruno Vespa: «Se metti le mani sulle pensioni di chi prende 2.000 euro al mese, non è una manovra che dà serenità e fiducia». Secondo punto: il ricalcolo delle pensioni anticipate (42 anni e sei mesi di contributi) penalizzerebbe fortemente soprattutto le persone con redditi bassi che hanno iniziato a lavorare precocemente (ad esempio: un lavoratore che ha iniziato a 16 anni e va in pensione a 58 adesso prenderebbe mille euro, con i coefficienti di trasformazione di Boeri 700). Terzo punto: la possibilità di accedere alla flessibilità solo per chi ha maturato i requisiti per una pensione da 1.500. Questo significa che l’effetto redistributivo «un po’ perverso» è far pagare i lavoratori precoci per far andare in pensione gli insegnanti e il settore pubblico. Qualsiasi flessibilità in uscita ha un costo di cassa enorme nei primi anni, fino a 5 miliardi, e il piano Boeri non arriva a questa cifra (la versione light costa 2 miliardi) perché utilizza appunto queste tre ‘coperture’. Il problema, quindi, per il governo non è di natura finanziaria. Se i tempi «non sono maturi» per la flessibilità, la parte sull’assistenza del piano andrà nella delega povertà (un collegato veloce alla Stabilità che si esaurirà entro l’estate). Quella sulla previdenza «resta una priorità politica del governo», spiegano da Palazzo Chigi: la via potrebbe essere quella di far partire una delega più lunga, che scavalchi l’anno, in modo che la prossima Stabilità possa metterci le risorse.
Se la leadership forte del premier («lui decide e ci mette la faccia», sottolineano i suoi) non è disturbata dai «vari suonatori» che strombazzano le proprie proposte, l’iper protagonismo di Boeri è indigesto a molti. In primis, nel governo. Se il sottosegretario Enrico Zanetti critica il metodo e «la confusione di ruolo tra ministro del Welfare e presidente Inps», il ministro dell’Interno Angelino Alfano invita a non fare «demagogia». Duro il ministro del Lavoro dopo l’invasione di campo: sono «misure che mettono le mani nel portafoglio a milioni di pensionati, con costi sociali non equi» e, dunque, ora «le risorse non ci sono». Un piano, rincara Giuliano Poletti, «non coerente con le scelte del governo». Levata di scudi da sindacati, sinistra Pd e opposizioni. «Il piano di Boeri sembra un programma di governo», chiosa Cesare Damiano (Pd) che attacca il travalicamento di ruoli del prof bocconiano.  «E poi – dice – la soluzione che Boeri propone è simile alla nostra: nel nostro caso l’anticipo è di 4 anni con penalizzazione dell’8%, nella sua 3 anni con un range di penalizzazione tra l’8,3 ed il 9,4%. Perché la sua proposta è più realizzabile?». Perché fa pagare la flessibilità ad altri pensionati, un costo sociale che Renzi non intende pagare.