«TROPPO sbilanciato a carico delle aziende». L’ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini (foto Ansa), ideatore del prestito pensionistico all’epoca del governo Letta, nutre qualche dubbio sulla formula allo studio del governo che riprende proprio quella proposta. «Avevamo già anche il via libera della Ragioneria dello Stato», ricorda, ma poi cadde il governo. E Renzi accantonò il progetto.
Professore, ora Renzi lo rispolvera. Dalle indiscrezioni, pare che l’anticipo della pensione sia a carico delle aziende, contributi compresi. Lo Stato mette le garanzie.
«Nel mio progetto l’anticipo era a carico dello Stato e i contributi venivano anticipati dall’Inps, salva la possibilità per le imprese di integrare l’assegno standard. Essendo un prestito che poi viene restituito come decurtazione dell’assegno pensionistico, sarebbe stata una partita finanziaria».
Quanto onerosa secondo i vostri calcoli?
«Avevamo ipotizzato una platea iniziale di circa 25mila persone con un costo per lo Stato di poche centinaia di milioni di euro».
E se le richieste dovessero essere superiori?
«Essendo un meccanismo sperimentale con diverse variabili, andrebbe testato con un tetto al primo anno e poi aggiustato in base alla sperimentazione. Basti pensare all’anticipo del Tfr in busta paga: le stime parlavano di un’ampia adesione ma non ha raggiunto nemmeno l’1%. Poiché il prestito è sganciato dalla retribuzione, per chi ha stipendi alti passare a 750-800 euro al mese potrebbe non essere appetibile».
E per chi ha un assegno pensionistico basso, restituire fino a 100 euro al mese non sarebbe troppo penalizzante?
«Probabilmente sì, ma le situazioni individuali possono essere molto differenziate, per questo serve una fase sperimentale: essendo un meccanismo volontario, ognuno fa i propri conti. L’ideale sarebbe accompagnare il prestito pensionistico con l’allargamento del Sia (sostegno di inclusione attiva) per chi ha un reddito inferiore alla soglia di povertà. Questo ci farebbe adeguare agli standard europei, visto che perfino la Grecia ha un reddito minimo, e si ricondurrebbe la previdenza alla sua funzione propria. Noi pensammo anche a un’altra opzione…».
Quale?
«Una quota in più sull’assegno aggiunta dall’impresa o, per le famiglie bisognose, dallo Stato».
Sarebbe solo uno strumento tampone in mancanza di una vera flessibilità in uscita?
«Un aggiustamento utile per molte situazioni. Quei lavoratori che non possono beneficiare degli strumenti previsti dalla legge Fornero, come l’esodo concordato che vale solo per le grandi imprese. O per quelle attività che richiedono una capacità fisica adeguata, come lavorare su un ponteggio».
Le piccole imprese potrebbero essere quelle con più problemi di credito per gli anticipi.
«Poiché stiamo parlando non di obblighi ma di un accordo tra le parti, il fatto che, secondo le anticipazioni relative alla proposta del Governo, il prestito sia interamente a carico delle imprese riduce l’appetibilità dello strumento».
Un meccanismo di flessibilità generalizzato non sarebbe meglio?
«Le ipotesi circolate finora sono troppo onerose per la finanza pubblica, si va dai 4 ai 6 miliardi l’anno, una cifra incompatibile con gli impegni presi a suo tempo, che scardinerebbe il sistema pensionistico e renderebbe molto difficile orientare la spesa pubblica verso investimenti e misure per la crescita, nonché ridurre la pressione fiscale».