IL VENTO sui mercati è cambiato. E «noi siamo il vaso di coccio tra i vasi di ferro». É preoccupato Massimo Bordignon, professore dell’Università Cattolica ed economista del pensatoio europeo Bruegel. Soprattutto per il modo in cui si sta affrontando il terremoto bancario: «Ai soliti problemi, bassa crescita e alto debito pubblico, si aggiunge il fattore banche: sottovalutato in passato e affrontato, ora, in modo poco chiaro».
È per questo che da noi l’instabilità finanziaria è più forte?
«Ci sono aspetti di carattere internazionale: gli effetti negativi sui produttori del crollo del prezzo del petrolio, le banche americane che hanno sostenuto lo shale oil indebitandosi fortemente, il rallentamento cinese. Si aggiunge che l’Europa sembrava avviata verso una forma di stabilizzazione ma l’Unione bancaria si è bloccata: manca l’assicurazione comune sui depositi che eliminerebbe il rischio di bank run (fuga dalle banche, ndr). Tutto ciò crea incertezza e instabilità, e noi siamo il vaso di coccio tra quelli di ferro».
L’incertezza non pare essere a breve termine…
«Sì, rischia di protrarsi nel tempo. Dipenderà anche da cosa faranno le banche centrali. I mercati temono che non riescano a tenere sotto controllo la situazione, nessuno sa cosa farà esattamente la Fed. Non siamo in una crisi come nel 2011, la Bce ha ancora margini di intervento, ma la possibilità esiste».
In questo contesto, nel 2016 sarà difficile per l’Italia centrare l’obiettivo di crescita all’1,6%.
«Nel 2015 probabilmente faremo lo 0,7%, un cambio di rotta ma non c’è da rallegrarsi. In più c’è il problema dell’inflazione che rende la bassa crescita meno sostenibile. Da qui l’attenzione dell’Europa sui nostri conti: potrebbe iniziare un early warning (avvertimento, ndr) costringendoci a rientrare in maniera più massiccia».
Quanto è probabile?
«Al 30-40%. In ogni caso, prima di arrivare a delle sanzioni, tra l’altro ridicole, passano anni. Le conseguenze sono politiche, con tensioni immediate sullo spread perché potrebbe voler dire che i titoli di Stato italiani sono meno sicuri».
Una manovra correttiva sarebbe inevitabile e, comunque, 2-4 miliardi potrebbero servire anche senza procedura Ue.
«Se la crescita fosse sotto le attese, ci sarebbero pressioni sul bilancio e una correzione diventerebbe necessaria. Ma stiamo parlando di decimali, lo 0,1-0,2%, non di due punti di Pil. Il governo potrebbe fare i soliti tagli su ministeri ed enti locali, non mi aspetto cose incisive. Il problema è che il cavallo ancora non beve, nonostante le riforme e la politica fiscale non restrittiva. Anche io mi aspettavo una crescita più sostenuta».
Le banche sono uno dei motivi per cui il cavallo non beve?
«È uno dei fattori determinanti. L’Italia si è comportata in modo semplicistico, avremmo dovuto ristrutturarle prima. Tutt’ora non si capisce bene cosa succede, se la garanzia pubblica a prezzi di mercato sulle sofferenze bancarie funzionerà. Ci sono delle procedure eccezionali che si possono invocare in Europa, previste nelle regole Ue per usare gli aiuti di Stato, come nel caso di rischi sistemici: bisognerebbe pensarci».
Il governo sbaglia strategia?
«Sì. Se al tema delle sofferenze si aggiungono le proposte tedesche, per noi distruttive, come quella di introdurre una rischiosità sui titoli di Stato, l’instabilità aumenta. È un problema che va risolto a livello europeo, serve una capacità di trovare consensi e alleanze che finora è mancata: lo scontro duro porta qualche voto all’interno ma, poi, come strategia non paga».

E noi siamo isolati?
«Più che chiedere flessibilità bisognerebbe fare una proposta per l’Europa: altrimenti i Paesi del nord ci vedono come quelli che firmano tutto e poi si tirano indietro. Noi paghiamo le conseguenze maggiori ma, non dimentichiamo, che il problema è generale».