Consumi, produzione industriale, occupati. L’economia ha svoltato? Il piano fiscale del governo sarà efficace? Ma soprattutto, l’ancora fragile ripresa italiana è in grado di proseguire sulle proprie gambe o è in gran parte merito di fattori esterni? Quattro economisti analizzano gli indicatori della ripresa.

ALBERTO QUADRIO CURZIO: “Torna la fiducia, il Pil migliorerà”

1. La ripresa si è avviata, lo dicono tutti gli indicatori: consumi, produzione industriale, turismo, lavoro. Per arrivare a una crescita più incisiva ci vuole qualche tempo, ma puntare all’1% per quest’anno non è azzardato. E mi sembra un buon risultato, considerando che l’anno scorso eravamo a -0,4%.

2. La disoccupazione, è vero, resta ancora alta ma c’è stata un’inversione di tendenza. Si tratta di numeri non enormi dal punto di vista quantitativo, ma cambia la qualità dell’occupazione: inizia a crescere non solo nel manifatturiero ma un po’ dappertutto, nei servizi, al Sud e, soprattutto, nell’edilizia. Un settore, questo, nel quale non si può ancora parlare di ripresa ma che è fondamentale perché ha un effetto moltiplicatore sull’economia.

3. Se il governo riesce a dare corso al taglio triennale delle tasse, l’effetto non sarà una rivoluzione copernicana ma comunque sarà significativo. Se si trattasse di un intervento una tantum non avrei dubbi sul fatto di puntare sulle imprese piuttosto che sulla casa ma, nell’orizzonte del piano, è prevista un’azione su entrambi i fronti. Inoltre, l’eliminazione della tassa sulla prima casa potrebbe significare un rilancio dell’edilizia.

4. I fattori esterni (Bce, petrolio, euro debole) incidono ma non sono sufficienti, basta vedere la Francia che nel secondo trimestre non è cresciuta per niente. Dunque, c’è una componente interna notevole e anche un clima di fiducia che inizia a diffondersi. Il fuoco si accende con il fiammifero, e quello della Bce è una bella fiammata, ma poi un po’ di legna dobbiamo mettercela noi. Se arrivassimo al 2 per cento entro il 2018 sarei molto contento.

 

PIETRO REICHLIN (Luiss): “Troppe tasse su impresa e lavoro”

1. La prudenza è d’obbligo ma i dati indicano che la ripresa c’è. Non è fantastica, ma leggermente meglio di ciò che ci si aspettava.

2. I dati sull’occupazione sono positivi ma non possiamo aspettarci miracoli. Bisognerà aspettare parecchi mesi prima di vedere una discesa più sostenuta della disoccupazione, anche perché in questi anni è stato fatto un ricorso esagerato alla cassa integrazione, soprattutto in deroga. Inoltre, bisogna considerare che si aggiungono nuove persone in cerca di lavoro e queste vanno ad aumentare il tasso di disoccupazione. Le misure del governo hanno aiutato ma da sole non bastano, la strada è ancora lunga.

3. Il governo fa bene a puntare sulla riduzione delle imposte, ma per incidere di più sulla ripresa dovrebbe agire prima sul taglio per lavoratori e imprese. La tassazione sulla casa è secondaria e, inoltre, eliminando la Tasi sulla prima abitazione si riduce il gettito dei Comuni. Il nostro fisco è troppo sbilanciato su lavoro e imprese, e se chiederemo all’Ue più flessibilità per tagliare le tasse sul mattone non vedrà l’operazione di buon occhio.

4. Non credo che la ripresa sia totalmente ascrivibile alle politiche della Bce. La crescita del Pil dell’ultimo trimestre deriva da un aumento della domanda interna e dal fatto che gli italiani hanno ricominciato ad acquistare beni durevoli. Se nel 2016 riusciremo ad avvicinarci a una crescita dell’1,5% sarà già un buon risultato. Del resto, il nostro Paese cresce poco da tanto tempo e su questo pesano fattori strutturali, come le imprese troppo concentrate su settori a bassa tecnologia o la scarsa competenza della forza lavoro. Fattori che non si possono cambiare in un anno.

 

FILIPPO TADDEI (Pd): “Siamo ripartiti grazie a consumi e investimenti”

1. L’inversione di tendenza è avvenuta. Ce lo dicono tre dati da leggere in successione: nel primo trimestre l’aumento degli investimenti è stato il vero motore della ripresa, superiore a Francia e Germania; nel secondo trimestre l’occupazione è cresciuta e la gente ha ricominciato a consumare; terzo punto, la produzione industriale è aumentata al livello più alto dell’ultimo biennio. Tecnicamente dopo due trimestri di crescita significa che si è entrati in una fase di espansione. Dal punto di vista politico, vediamo che anche gli indicatori di fiducia sono positivi.

2. Conta soprattutto il numero degli occupati, 235mila in più secondo l’Istat, e non si tratta solo di stabilizzazioni. La disoccupazione resta alta ma sta diminuendo e, inoltre, bisogna considerare che quando l’economia svolta molti dei cosiddetti inattivi iniziano a cercare lavoro andando ad aumentare il numero dei disoccupati. Ma sono persone che si rimettono in gioco.

3. Il senso del piano pluriennale di taglio delle tasse è che conta quante tasse si pagano ma anche quanto si pensa di pagare in futuro. Nessuna operazione di riduzione fiscale senza questo orizzonte può funzionare e, infatti, grazie agli 80 euro la pressione è già calata nel 2014 ma gli italiani non ne hanno percezione. Per questo continuiamo, e ogni anno ci sarà un intervento sostanzioso.

4. Se la ripresa fosse determinata solo da fattori esterni dovrebbe essere guidata soprattutto dall’export. Invece, vediamo che a spingere il Pil sono stati i consumi e gli investimenti, cioè due componenti della domanda interna. Certamente, il contesto macroeconomico esterno ci aiuta, ma la ripresa ora poggia su basi più solide e anche l’atteggiamento degli italiani verso il futuro sta cambiando. Il nostro sistema produttivo dopo cinque anni di stallo sta cominciando a rigenerarsi in maniera diffusa. L’Italia sta facendo le stesse riforme che fece la Germania negli anni Duemila, stiamo mettendo le basi per un ripartenza più solida. Il 2% di crescita per un’economia sviluppata deve essere l’obiettivo.

 

MARIO BALDASSARRI: “Segnali positivi, ma la crisi non è finita”

1. Il ciclo si è invertito: è finita la recessione ma non la crisi. A fine 2014 eravamo in fondo al pozzo, avevamo perso il 10% di Pil e circa un milione e mezzo di disoccupati in più rispetto al 2007, ora c’è un inizio di risalita ma dovuta soprattutto a fattori esterni, cioè petrolio ed euro bassi. Anche la ripresa dei consumi deriva per due terzi dai consumi elettrici e dal turismo cresciuti grazie alla bella stagione. Insomma, grazie al Padreterno.

2. L’occupazione esce dalla crisi uno o due anni dopo la ripresa del Pil, prima devono aumentare reddito e produzione industriale. È comunque positivo che gli occupati siano aumentati, anche se la maggior parte sono precari stabilizzati grazie al Jobs Act e agli incentivi del governo.

3. Il vero choc fiscale sarebbe concentrarsi su Irpef e Irap con un taglio da 30 miliardi. Per quanto riguarda Imu e Tasi, l’unico modo serio di affrontare il tema sarebbe quello di lasciarla ai Comuni e renderla detraibile dall’Irpef. Detto questo, al netto della spending review da 10 miliardi che serve per non far scattare l’aumento di Iva e accise, l’operazione del governo viene finanziata con la flessibilità europea, cioè aumentando il deficit. E per un Paese come il nostro, gravato da oltre duemila miliardi di debito pubblico, è rischioso dal punto di vista dei mercati finanziari. Come diceva Totò, la somma non fa il totale.

4. Non è assolutamente una crescita in grado di camminare sulle proprie gambe. Se nel 2015 avessimo avuto il petrolio a 90 dollari e l’euro a 1,30 sul dollaro, quest’anno avremmo avuto -0,5% di Pil. Tornare a crescere al ritmo del 2% è una pia aspirazione allo stato dell’arte e, comunque, non basterebbe: per uscire dalla crisi entro il 2018/2019 il Pil dovrebbe aumentare a ritmo del 3%. Ma non è impossibile. L’unica via è aggredire davvero i due moloch che si chiamano spesa pubblica corrente ed evasione. Si può benissimo fare una spending review da 50 miliardi, partendo con il tagliare le ruberie.