RIMBORSARE tutti, senza soldi pubblici. E senza arbitrati. È questo l’asso che il premier è deciso a giocarsi per girare a proprio favore la spinosa vicenda degli obbligazionisti di Etruria, Banca Marche, Carife e Carichieti, azzerati dopo il salvataggio degli istituti il 22 novembre. Il decreto pareva essere in dirittura d’arrivo già nel Consiglio dei ministri di questa mattina (26 marzo) ma, in serata, il governo era orientato a prendersi altro tempo per aver la certezza di portare a dama l’operazione senza intoppi. L’ostacolo è il via libera Ue al decreto che, in ogni caso deve rispettare le regole sugli aiuti di Stato. «C’è in corso un’interlocuzione con Bruxelles», spiegano dal Tesoro, che preferirebbe non lanciare il cuore oltre l’ostacolo per poi rischiare di dover fare retromarcia. L’ultima parola spetterà a Matteo Renzi che potrebbe riservare qualche colpo di scena, anche perché il 31 marzo scadono i termini previsti per emanare i decreti su rimborsi e arbitrati.

L’OPERAZIONE che immaginano Tesoro e Palazzo Chigi comporterebbe, da un lato, l’aumento della dotazione del fondo da 100 milioni stanziato con la Legge di Stabilità e, dall’altro, il superamento delle procedure arbitrali. Il principio secondo il quale la mala gestione delle quattro banche lascerebbe poco spazio alla possibilità che i contratti firmati dagli obbligazionisti subordinati siano stati sottoscritti secondo trasparenza e corretta informazione, renderebbe non più necessario analizzare caso per caso i 10.559 obbligazionisti. Inoltre, l’aumento della dote del fondo vicino a quota 300 milioni (attorno ai 280) è poco al di sotto dei 329 stimati dal Mef per rimborsare tutti, e basterebbe per gli obbligazionisti che non si sono avvalsi di intermediari. In ogni caso, i soldi arriverebbero (come i 100 milioni) dal sistema bancario, cioè dal Fondo interbancario di tutela dei depositi (con contributi volontari in modo da non configurarsi come aiuti di Stato) ma anche dalle plusvalenze che le good bank potrebbero realizzare con la cessione dei crediti d’imposta ereditati dalle banche fallite.

A PROPOSITO di sofferenze, Bankitalia è intervenuta con una nota a sottolineare che il valore degli Npl delle 4 banche in risoluzione (ridotto al 17,6%), stabilito in un contesto di urgenza e in via provvisoria lo scorso novembre dalla stessa Via Nazionale e dalla Commissione Ue, sarà definito da un «esperto indipendente» e non «riflette il benchmark del mercato dei crediti deteriorati». Anche qui, i valori ‘veri’ saranno definiti caso per caso. Due i risvolti pratici: l’aumento dei fondo rimborsi dipenderà anche dal ‘tesoretto’ delle plusvalenze dalla vendita della bad bank, inoltre, le nuove banche hanno, dopo aver ceduto tali prestiti, maturato un credito di pari importo dal fondo di risoluzione che potenzialmente è un aiuto di stato se poi dalla cessione dovessero arrivare meno ricavi.


AL DI LÀ
dei tecnicismi, il nodo è soprattutto politico. C’è chi dubita nell’ok Ue e, nella maggioranza, qualcuno storce il naso di fronte all’idea di rimborsi generalizzati. Scelta Civica, ad esempio, ha ritirato l’emendamento che toglieva il tetto al fondo aprendo la strada a un aumento subordinato ai casi di ‘raggiro’ accertati e ora vede la logica portata all’estremo. L’Anac non commenta, «noi siamo pronti, aspettiamo il governo», aveva detto il presidente Cantone. Ma il fischio di partenza per gli arbitrati rischia di non arrivare.