Matteo Renzi potrebbe trovare in Europa i soldi che servono a far cambiare verso all’Italia. Senza sforare il tetto del 3% tra deficit e Pil, senza procedura d’infrazione, senza chiedere aiuti. Al massimo scontentando solo qualcuno del Pd.  Ma non sarebbe né un ostacolo né una novità. Persone molto vicine e molto ascoltate dal presidente del Consiglio accreditano un forte interesse del premier verso uno strumento, proposto dalla Commissione europea,  che doveva vedere la luce nel Consiglio europeo del dicembre scorso e la cui nascita potrebbe essere il primo risultato della guida italiana del semestre europeo: si tratta dei cosiddetti «accordi contrattuali» (contractual arrangements). Sono programmi di riforma concordati tra un governo nazionale e la Commissione Ue, dovrebbero essere approvati dal Parlamento nazionale e dal Consiglio europeo, ed essere attuati nel rispetto di modi e tempi contrattati. In cambio, l’Europa paga. Almeno in parte.
Il Jobs act renziano, per esempio, non è gratis, ma i costi potrebbero essere coperti, in modo indiretto, dal bilancio dell’Unione europea. E Padoan non si schianterebbe sullo scoglio del 3%. Gli accordi contrattuali sarebbero, in sostanza, il contrario degli interventi della troika Fmi-Bce-Ue che, alla spicciola, funzionano così: io ti dico quali misure prendere e tu fai i compiti, altrimenti niente aiuti. Con gli accordi contrattuali, invece, un Paese prende impegni con l’Ue, concorda tempi e condizioni, e chiede risorse per attuare il piano. Come capita  a chi va in banca a chiedere un prestito o un mutuo.
Roba non semplice per la politica a cui siamo abituati, quella del paga Pantalone o le generazioni future. Ma questo non è forse il momento dei sogni e del coraggio? Ma, c’è un altro  ma. Perché al Consiglio europeo di dicembre gli «accordi contrattuali» non hanno tagliato il traguardo? Fondamentalmente perché piacciono alla Merkel e hanno fatto storcere il naso a quanti — molti in casa Pd e Pse — li ritengono una nuova mordacchia tedesca. Timori tanto diffusi che, in modo un po’ ipocrita, è quasi certo possano essere ribattezzati da «accordi contrattuali» a «parternariati per la crescita». Suona meglio, ma la sostanza non cambia. Non si può escludere, neppure, una versione più leggera che si limiti a scambiare le riforme con maggiore flessibilità di bilancio (ipotesi alla quale ha aperto il presidente olandese dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem). Renzi, insomma, ha una potente freccia al suo arco per centrare il bersaglio, pure col benestare della Merkel, di una nuova politica europea. E di frecce, finora, non ne ha sprecate.

 Pubblicato su Qn sabato 1 marzo 2014