CHIAMATELO bancomat di Stato. O, se preferite, ceto medio: non fa differenza per chi governa, chiunque sia, tanto è facile attingere soldi dove si può trovarne ancora un po’, senza troppe proteste, a colpi di prelievo. In fondo non c’è bisogno di essere grandi economisti per far tornare i conti toccando le pensioni, rosicchiando i mattoni o facendo passare dalle casse dei Comuni quello che manca alle casse dello Stato. È una strada nota e ampiamente battuta se è vero che, per esempio, in Italia la pressione fiscale è salita del 12,6% dal 1980, in 15 anni le tasse locali sono cresciute del 114%, del 63% le tasse universitarie in un decennio e del 200% le tasse sulla casa. Voci importanti di bilanci familiari messi a dura prova dalla crisi e, in molti casi, dal dramma della disoccupazione. In compenso hanno continuato a correre il debito pubblico e gli sprechi. Mentre i tagli alla spesa pubblica hanno popolato più i dibattiti che la Gazzetta Ufficiale: se ne è parlato molto, se ne è fatto poco o nulla. Al punto che oggi tornano d’attualità ipotesi di misure che suonano come l’ennesimo ricorso al bancomat di Stato. O ceto medio, se preferite.

MATTEO RENZI — premier di una svolta annunciata e premiata alle urne europee con una messe di voti che non si vedeva dalla Dc di Fanfani— ce la sta mettendo tutta a scrostare i palazzi. E assicura in un tweet che i piani di cui si parla sono talmente segreti che anche il governo non ne sa nulla. Non c’è ragione di non credergli, se non fosse che molte di queste ipotesi sono declinate dai ministri del suo governo.
Che la situazione sia grave, d’altra parte, è sotto gli occhi di tutti e non solo perché anche il ministro dell’Economia, Padoan, ammette che va peggio del previsto. Ma se certo non è colpa di Renzi se siamo arrivati a questo punto, è altrettanto vero che stringe il tempo per portare il paese fuori dalle secche della recessione.
Magari con un serio piano di riduzione fiscale per famiglie e imprese e di tagli alla spesa pubblica. Piano da portare, questo sì, in Europa per trattare tutta la flessibilità che si può senza temere una maggiore sorveglianza da parte delle istituzioni internazionali. Controlli, anche in cambio di sostegno, che potrebbero persino rivelarsi i migliori alleati di quanti vogliano riformare il paese. Il rischio per il governo è voler cantare che questa è la «svolta buona» e stonare andando al solito bancomat. Come quelli che lo hanno preceduto.
Pubblicato su !n mercoledì 20 agosto 2014