Tre mine vaganti sul sentiero della stabilità economica globale: insoddisfacente crescita della produttività, livelli d’indebitamento troppo elevati e margini d’intervento delle politiche sempre più stretti, cioè minore fiducia anche nelle banche centrali. L’allarme arriva dal rapporto trimestrale di Claudio Borio, capo dipartimento della Banca dei regolamenti internazionali: “Quelli che vediamo – spiega Borio – potrebbero non essere fulmini isolati ma segnali di una tempesta vicina, che si sta preparando da molto tempo”.

L’ondata di vendite che ha segnato l’avvio del 2016 è stata una fra le “peggiori mai osservate a inizio anno”, i prezzi del petrolio hanno toccato nuovi minimi, “inferiori a quelli della Grande Recessione”, e hanno innescato massicce vendite di titoli sui mercati internazionali da parte degli sceicchi dell’oro nero. Lo stesso stato di salute delle banche globali – a giudizio della Bri – è tutt’altro che rasserenante. Le turbolenze sui mercati finanziari non sarebbero dunque il risultato della naturale oscillazione delle Borse tra speranza e paura ma la risultante dell’opera di forze più profonde.

Gli economisti di Basilea non hanno mai brillato per ottimismo nelle previsioni, Renzi li definirebbe gufi, ma d’altra una delle funzioni proprie dell’istituto è quella di segnalare squilibri e adesso il rapporto di Borio si sofferma, in particolare, sui temi del debito crescente e del minore spazio di manovra a disposizione degli stessi banchieri centrali: “ Il debito è stato uno dei fattori scatenanti della crisi finanziaria ed è ancora aumentato in rapporto alla ricchezza prodotta”.

Nelle economie avanzate – osserva- il debito pubblico è cresciuto costantemente, tra gli emergenti quello privato è esploso mentre la produttività è diminuita. La conclusione è una stoccata: “Malgrado le condizioni monetarie eccezionalmente espansive, la crescita è stata deludente e l’inflazione è rimasta bassa. Gli operatori di mercato ne hanno preso atto e vacilla la loro fiducia nei poteri curativi delle banche centrali, per la prima volta”.

In questo clima turbolento il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, dovrà sciogliere il dilemma e comunicare giovedì prossimo gli orientamenti di politica monetaria: i mercati scontano un ulteriore taglio sui tassi di deposito e un aumento del quantitative easing, non fosse così si ritroverebbero delusi e segnati da forti ondate di vendita come accadde nel dicembre scorso. D’altra parte, lo stimolo monetario non ha portato a significative azioni di risanamento nei conti degli Stati così come auspicato dall’istituto di Francoforte e come sottolineato nelle lettere della Ue pronte per Spagna, Italia, Finlandia, Austria, Belgio e Romania. E l’Europa si ritrova, in febbraio, ancora in deflazione. Insomma, inizia a prendere forza una corrente di pensiero che non solo vede i limiti di una politica monetaria che fatica a trasmettersi all’economia reale e non è accompagnata da riforme fiscali, strutturali e di risanamento, ma addirittura ne indica i potenziali, nuovi pericoli: “C’è grande incertezza – avverte Borio – sul comportamento di privati e istituzioni se i tassi dovessero ulteriormente scendere o restare negativi a lungo”.