TUTTO secondo le regole, tutto secondo la legge. E ormai rischiamo perfino di abituarci. Un uomo sicuramente violento, sicuramente pregiudicato, nel 2005 ammazza un altro uomo in una rissa. E nove anni più tardi è fuori dal carcere, libero ma non bello, affidato – ma che vuol dire, esattamente, la parola affidato? – ai Servizi sociali. Libero di uccidere un’altra volta. Che poi è quello che, puntualmente, è accaduto all’interno di questa famiglia di Milano annientata dalla violenza all’alba di un tranquillo sabato mattina.
DOPO, ma soltanto dopo, è facile dire che c’è qualcosa che non funziona. E che non si può non tenere sotto stretta sorveglianza un assassino conclamato. Perché altrimenti a farne ne spese potrebbe essere chiunque. Ieri mattina è toccato al figlio, ma la rabbia cieca di quest’uomo avrebbe potuto abbattersi anche altrove.
Più che la severità, forse, ci vorrebbe estrema chiarezza. Nel mettere a punto programmi che consentano – se proprio decidiamo di far uscire dal carcere un omicida nove anni dopo il delitto – di verificare realmente e nel concreto la capacità di una persona di stare autonomamente in mezzo agli altri. E se questa capacità non c’è, non si può che prenderne atto. Altrimenti significa arrendersi all’idea di lasciare i cittadini in balia degli assassini.
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