In un mondo che ha memoria solo per le sciocchezze stupisce relativamente che sia passato inosservato il centenario della nascita di Billie Holiday (7 aprile 1915) . Una voce straordinaria in un mondo che non sa più ascoltare. Una voce che se la senti una volta, una volta sola, ti entra dentro  per sempre.  Per me, la più grande cantante jazz della storia. Sì, lo so, Ella Fitzgerald era straordinaria, volava su vette inarrivabili, Sarah Vaughan…magnifica, ma Billie era fantastica. Perché per me la musica è emozione, budelle attorcigliate, amore, angoscia, disperazione Billie era tutto questo. Ricordo una biografia letta quand’ero ragazzo, francamente mal tradotta, ma la sua vita era un romanzo sonoro, per leggerla bastava ascoltarla.  Immergetevi in  ‘Summertime’ in una vecchia incisione tutta gracchiante, oppure ‘God bless the child’,  lì la voce è giovane, squillante, ancora piena di speranze, anche se alla spalle aveva giù uno stupro subìto quando aveva 10 anni. Se invece vi andate ad  ascoltare le canzoni di ‘Lady in Satin’, quanta amarezza c’è fra le pieghe di quella musica, ‘I’m a fool to want you’ è una tristezza incantevole, per non parlare di ‘For heaven’s sake’, ‘You don’t know what love it is’, una meravigliosa voce acre. Billie non si chiamava Billie. Sua madre e suo papà, squinternato musicista jazz ben presto fuggitivo dai doveri coniugali, avevano scelto come nome Nora. E quando fu violentata, si ritrovò spedita in riformatorio, in quanto giudicata corrotta, pensate un po’. Una bambina in  riformatorio, un trauma, quando uscì l’aspettava la strada, divenne una baby prostituta.

L’arrestarono in un attimo e narra la leggenda che quando uscì di carcere si offrì a un locale di Harlem, bocciata come ballerina, assunta come cantante. E lì iniziò tutto, scelse il nome Billie Holiday, aggiunse al cognome del padre  il nome della sua attrice preferita, Billie Dove. E lì iniziò tutto. Il jazz, amori sbagliati, mariti balordi, la droga e per fortuna un amico come Lester Young, che la soprannominò Lady Day. Venne anche in Italia, come ricordava il grande Arrigo Polillo nei suoi fondamentali libri: nel 1958, poco prima di morire. Non si sa perché, misero il suo nome nel cartellone del cinema Smeraldo in una serata dove si esibivano giocolieri e fantasisti. In platea c’era gente che di jazz nulla sapeva e, incredibile, la protestò. Uscì prima del dovuto dal palco, fra i fischi di un pubblico ignorante. Ma i jazzofili milanesi non si diedero pace, organizzarono una serata solo per lei, al teatrino Girolamo, di solito riservato a spettacoli di burattini. Fu un trionfo. Billie morì sei mesi dopo, ma la sua voce è ancora qui con noi.