Premessa: in casi come questi il sottoscritto è poco attendibile. Perché nel concerto di Agnes Obel convergono tante vecchie passioni del vostro ammuffito blogger: i paesi nordici, il pianoforte, le atmosfere rarefatte e le biondine diafane dallo sguardo malinconico.  Detto questo, un concerto di Agnes è qualcosa di abbastanza unico in giro: pianoforte, voce, violoncello e percussioni, una formula sperimentata in tre dischi di enorme successo. Ma come si è visto martedì 20 giugno a Ferrara, nell’ambito di Ferrara sotto le stelle, il suo è un lavoro degno di un orafo: non sono semplici canzoni di pianoforte e voce, dietro esiste un maniacale lavoro di intarsio, dove ogni dettaglio deve andare al suo posto. Sono canzoni crepuscolari, notturne: ninne nanne con una voce eterea sospesa fra il tintinnio dei testi della pianista danese e gli archi in sottofondo. Immersa nel cortile del meraviglioso castello di Ferrara, con  la dolcezza che solo le serate di giugno possono regalare, Agnes Obel si prende con delicatezza un pubblico trepidante in attesa solo di essere conquistato. La sua è una musica solo all’apparenza semplice eppure la ragazza danese riesce nell’intento grazie a tre strumentiste  perfette, in un gioco di violoncelli, percussioni dove la sua voce pudica vola altissima, cristallina e timidamente perfetta. Vero, alla lunga le sue canzoni possono risultare monotone, , ma questo solo se l’ascoltatore ignora il vero senso della bellezza. E’ impossibile non apprezzare il lavoro di incastro, curato da lei stessa, che sta dietro ogni singolo pezzo: il perfetto ingresso della voce, il pizzicato delicato degli archi regalano sensazioni indescrivibili.  E’ così in ‘The curse’, ‘Fuel to fireì, Trojan horses’, ‘Fuel to fire’, ‘Golden green’. Che influenze ci sono in lei? Sicuramente qualcosa di classico, come Debussy, poi le contaminazioni di Michael Nyman mentre l’uso dei violoncelli ricorda un po’ Kate Bush.  E alla fine lei, piccola e fragile in un vestitino azzurro, alza lo sguardo davanti alla gente di Ferrara e soffia, imbarazzata, una frase nel microfono: “Un posto meraviglioso, invitatemi ancora, per favore”. Magari