Caro De Carlo,
sono un italiano che risiede all’estero da qualche decennio. Lasciai l’Italia quando ancora le cose andavano bene. Ora che vanno male sono lieto di esserne fuori pur continuando a pagare in Italia le tasse della mia plensione.

Ma nonostante la lontananza continuo a seguire con interesse le vicende politiche italiane. E non le nascondo la mia simpatia per quanto sta facendo Matteo Renzi. Non le nascondo nemmeno il mio sbalordimento per l’opposizione che Renzi incontra nel suo stesso partito. E sono certo che i veterocomunisti o postcomunisti o paracomunisti faranno di tutto per vanificare i suoi sforzi e per farlo cadere non rendendosi conto che Renzi è davvero l’ultima carta prima del collasso finale.

Trovo sintomatico al riguardo i rimbrotti che Bersani – ancora convalescente – gli ha rivolto. Il suo successore non avrebbe dovuto negoziare con Berlusconi e tanto meno farlo entrare nel Sancta Sanctorum del partito.

Bersani ovviamente può dire quel che vuole. Ma che si permetta di rivolgere critiche di merito e di procedura, lui che ha trasformato in una sconfitta elettorale una vittoria data per sicura, mi sembra paradossale. A mio parere dovrebbe tacere e curarsi la salute se – come pare – l’anima massimalista del suo partito gli sta a cuore più del destini della nazione.

Leggo il suo blog e vorrei sentire la sua opinione al riguardo,

Tony C. Miami

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Caro Tony,
mi stupisce il suo stupore. Evidentemente manca dall’Italia da troppo tempo. E temo non si renda conto della portata rivoluzionaria di quanto sta cercando di fare Renzi e dunque della feroce opposizione da parte dell’ala dura e pura del Pd.
Quella di Renzi non è una battaglia strategica per consolidare la sua fresca leadership politica. E’ molto di più.
E’ una battaglia ideologica. Nel senso che le sue proposte, il suo pragmatismo, la sua disponibilità a incontrare colui che dal suo stesso partito è stato demonizzato per un ventennio sono la proiezione di una mentalità lontana anni luce da quella di Bersani e compagni.

Questi ultimi sono rimasti veterocomunisti o postcomunisti o paracomunisti – per riprendere le sue distinzioni. Renzi no. Renzi è nato nel 1975, sedici anni dopo il famoso ripudio di Bad Gogesberg quando la più nota delle socialdemocrazie europee rinnegò una volta per tutte la zavorra marx-leninista e diventò in Germania forza di governo.

Il Pci una sua Bad Godesberg non l’ha mai avuta. Ha cambiato nome quattro volte, ma la matrice è rimasta più o meno quella d’origine. Anche ora, ventitrè anni dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica e il crollo del comunismo.
Il che non vuol dire che negli anni qualcuno non abbia cercato di aggiornarla. Ci ha provato Veltroni e fu schiacciato dall’apparato refrattario a ogni cambiamento. Ci ha provato una prima volta Renzi e fu respinto alle primarie. Ci ha provato una seconda volta e grazie all’inettitudine di Bersani ce l’ha fatta.

Il che non vuol dire affatto che dopo avere conquistato la segreteria riuscirà ad essere – come ambisce – motore di cambiamento. Le sue iniziali vittorie rischiano di compattare il fronte dei nemici. Per cui l’alternativa è: o il partito si spacca e Renzi sopravvive oppure gli si tagliano le gambe e il partito rimane unito.

Come tagliargli le gambe? Semplice: basterebbe un avviso di garanzia. Per cosa? Beh un pretesto si trova sempre. Di magistrati faziosi e schierati il sistema giudiziario italiano è ricco.
‘’Qualche pecca vera o presunta nel nostro Comune – mi ha scritto un lettore di Firenze – potrebbe essere sfruttata a fini politici’’.
Accadrà così? Sono vent’anni – lo sappiamo – che la lotta politica si fa più nelle Procure che in Parlamento. E intanto l’Italia delle liti continue va a ramengo.