In Arabia Saudita le donne non posso guidare l’auto: devono essere accompagnate da un uomo. Il gruppo terroristico Boko Haram, dopo averne rapite a centinaia nei villaggi africani, (che ne è stato della campagna #Bringbackourgirls di Michelle Obama?) manda ragazzine con una bomba addosso a farsi esplodere in qualche mercato della Nigeria.

Poi ci sono i prigionieri sgozzati in diretta, gli aerei che si abbattono sui grattacieli o i terroristi che fanno stragi in redazioni, scuole, treni, metropolitane, bus e negozi, portando squarci di guerra in scenari dalla quotidianità tanto più attonita quanto più pacifica, indifesa.

La globalizzazione, prodotta certo dalle potenzialità dei mezzi di trasporto planetari e dalla televisione ma frutto soprattutto della diffusione della rete delle reti, non è solo una questione geografica. Gioca anche sul filo del tempo, in uno stridìo crescente che ci lascia a bocca aperta, ci fa chiudere gli occhi di fronte all’orrore, ci fa mettere le mani sulle orecchie per non udire l’esplosione delle urla.

I secoli bui del Medioevo, almeno quelli dell’Europa ‘culla’ della civiltà che ci è stata insegnata sui banchi di scuola, le storie cruente delle crociate cristiane, della persecuzione delle streghe, le torture della Santa Inquisizione ci arrivano oggi in diretta via tv, internet, social network attraverso altri interpreti, altri nomi, altri luoghi. E’ come se episodi di brutalità medioevale si materializzassero, attraverso le porte del tempo dei nostri smartphone, nel nostro presente ipertecnologico, proiettato in un futuro sempre più fantascientifico e tendente all’alienazione.

In realtà Umanesimo e Rinascimento non hanno cancellato ogni traccia di sangue: abbiamo avuto nel frattempo un olocausto e tanti ‘piccoli’ genocidi, due guerre mondiali, bombe atomiche su popolazioni inermi, stupri etnici, guerre civili. Ma almeno, se non abbiamo saputo evitarli, noi occidentali (ma come si fa a stabilire dov’è l’occidente, in una sfera?) siamo tutti d’accordo, o quasi, nel condannare questi eventi. E noi donne, pur subendo ancora negli anni duemila il ‘martirio’ del patriarcato, che, stupri a parte, nelle sue forme più cruente si manifesta a colpi di pugni e coltelli fino al femminicidio, almeno non ci aspettiamo di essere lapidate pubblicamente, di essere costrette ad indossare un velo, di essere mandate al macello o di finire in carcere per aver guidato la nostra auto.

La globalizzazione porta invece altri medioevi nel nostro presente (e viceversa) perché internet, col suo imperante ‘qui, ora e dappertutto’, non distingue tra i diversi livelli di civiltà. Tramite i social network spamma beffardamente torte fatte in casa e massacri, selfie sorridenti e appelli per salvare una donna dalla tortura, inni all’amicizia e immagini efferate. In questo #medioevo 2.0 provate ad immaginarvi cosa posterebbero oggi Nerone su Facebook, Gengis Khan su Twitter o cosa caricherebbe Attila sul sito degli Unni.

Se i monaci, ai tempi del Medioevo europeo, avevano custodito il sapere dalla barbarie rinchiudendosi nei monasteri e trascrivendo testi antichi, per tramandarli ai posteri, oggi che il sapere è su wikipedia insieme alle immagini di un presunto paradiso di benessere che appare raggiungibile con un click e una connessione satellitare anche dal quarto o quinto mondo, resta solo un orrore indefinito che ci fa sentire impotenti al punto da spingerci all’indifferenza, almeno finché la violenza non ci arriva in casa.

Noi sembriamo il ‘nuovo mondo’ a chi vive ancora nel vecchio salvo poi scoprire, per chi approda in altri luoghi geografici e temporali, magari dopo aver superato prove inenarrabili su barconi da negrieri, che le nostre periferie non sono l’eden, il paradiso non è per tutti, nemmeno per chi ci abita. A nessuno, però, piace sentirsi emarginato e l’attrito sociale aumenta, generando talvolta nuovi mostri.

La globalizzazione reale e virtuale, questa stonatura della storia, ha resto evidente, a chi avesse ancora dei dubbi, che non esiste, oggi, su questo pianeta, pari civiltà. E a noi tutti il giardino del vicino sembra sempre il più verde.

E se, novelli amanuensi digitali, usassimo la connessione globale per generare equità? Se trasformassimo l’individualismo virtuale di Facebook e le 140 parole di Twitter come una rete interattiva e non fine a se stessa per rimettere in pari tutto il mondo? Un’utopia, certo, a dispetto della distopia del nostro presente, immediato futuro. Ma sognare è già porsi una meta.