Certe coincidenze danno da pensare. Sabato sera su Rai3 guardavo la trasmissione <Ulisse> condotta da Alberto Angela. Trattava della storia di Luigi XV di Francia, che subì un attentato da parte di un certo Robert Francois Damien. Era una specie di disgraziato che lo ferì con un coltello dalla lama lunga 8 cm.: non voleva uccidere, disse, ma solo dare un avvertimento a quel sovrano che a suo dire affamava il popolo.

E’ di ieri la notizia dell’attentato a Roma dove un signore, Luigi Preiti, (che in prima battuta ha detto che voleva colpire i politici, poi ora piange dicendo <Non so che cosa mi abbia preso>) ha fatto fuoco colpendo una donna incinta e due carabinieri. Uno di loro è ancora molto grave e rischia di restare paralizzato. Il progresso si vede, un tempo c’erano le lame dei colltelli, adesso una Beretta 70 comprata al mercato nero. Ma le conincidenze ci sono. Damien agì da solo, non voleva uccidere sennò avrebbe almeno avvelenato la lama, non aveva lavoro (c’è da dire che è passato alla storia come un ladro e uno squilibrato). Anche Preiti non aveva lavoro, probabilmente era disperato ma non fuori di senno, tanto che la procura di Roma non solleciterà alcuna perizia psichiatrica nei suoi confronti. Credo comunque che si debba avere un grande inferno dentro per arrivare a commettere un gesto del genere. Tragico poi che a rimetterci siano stati due poveri carabinieri, che di sicuro non appartengono a una categoria di lavoratori strapagati. Insomma un poveraccio che spara su due che per guadagnarsi onestamente il pane rischiano la pelle ogni giorno. Preiti se l’è cavata con una ferita alla testa e forse si beccherà qualche anno di galera. E fortunatamente per lui la similitudine con Damien finisce qui. Perchè l’attentatore francese fu prima orrendamente torturato, poi squarciato vivo (chi ama i particolari agghiaccianti può leggersi i la storia su Wikipedia http://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Fran%C3%A7ois_Damiens.

Anche il periodo storico dei due episodi grazie al cielo è ben diverso e di personaggi come Luigi XV si è perso lo stampo. Era un monarca assoluto e nient’affatto illuminato, che viveva rintanato a Versailles, passava più tempo fra le sottane delle amanti che a pensare al governo, aveva un pessimo rapporto coi propri ministri, se ne fregava del popolo che si vedeva sempre più impoverito, si faceva influenzare dalle favorite di turno,sperperava il denaro pubblico abbellendo Versailles, insomma per farla breve quel sovrano che all’inizio fu chiamato < il beneamato> alla fine fu detto <l’odiato> e il popolo festeggiò alla sua morte. Morì nel 1774, di vaiolo. Nel 1789 cadevano le teste dalle ghigliottine, compresa quella di suo figlio Luigi XVI.

Due storie contestualmente differenti, eppure mi ha colpito quel filo comune che ha passato i secoli e legato i due episodi: la disperazione, forse un filo di follia, voler fare un gesto dimostrativo le cui conseguenze sono poi più gravi del previsto. Il potere incarna un simbolo, nel bene e nel male. Ma è tragico quando c’è chi se la prende con il <potere> non in maniera, come dire civile, propositiva, ma distruttiva. E’ la vittoria della barbarie sulla ragione. Va bene, mi si può dire che i più o meno squilibrati ci sono sempre stati e ci saranno sempre (anche Bruto fu accoltellato, e da un parente, tanto per dirne una). Ma sarebbe semplicistico e non certo consolatorio.

Giambattista Vico, il filosofo napoletano (1668-1744), parlava di “corsi e ricorsi storici”.Non per dire che la storie si ripete uguale ma che l’uomo è sempre uguale a se stesso, pur nel cambiamento delle situazioni e dei comportamenti storici. Ciò che si presenta di nuovo nella storia è solo paragonabile per analogia a ciò che si è già manifestato. La storia, dunque, è sempre uguale e sempre nuova. In tal modo è possibile comprendere il passato (che altrimenti ci rimarrebbe oscuro, perché: “Historia se repetit”),  eforse ci può aiutare anche a capire qualcosina del presente. Amche se non è consolante trovarsi a fare un paragone con una storiaccia di ben oltre 300 anni fa.