Il messaggio che arriva dal cuore popolare dell’Oltrarno fiorentino è da dieci.
Il pallone è di tutti, il calcio è divertimento, l’agonismo viene dopo: si decide tutti insieme, si vince e si perde non per merito di uno o per colpa di un altro. Questo vuol dire fare una vera scuola anche per il calcio. Valori che, guarda caso, si radicano in un giardino simbolo del rione, emblema da sempre del senso di appartenenza.
La squadra che ha messo in piedi questa scuola calcio (in sinergia con gli abitanti) è il Centro Storico Lebowski, squadra che porta con sé, tutte le volte che scende in campo, un modello unico di democrazia del pallone.
La scuola calcio è gratis. E non è un aspetto secondario. Tutti i bambini nati tra il 2006 e il 2010 possono iscriversi: che abbiano le scarpe di marca o quelle usate del fratello, che sappiano palleggiare oppure abbiano giocato fino a un secondo prima a nascondino e basta. Sono già 25 i bambini in campo. Modello utopia? No. Se si vuole si può. E a maggior ragione se l’obiettivo è semplicemente disarmante: imparare divertendosi. Semplice, no?
Purtroppo non è così nella stragrande maggioranza delle altre società, anche gloriose. Gli obiettivi sono altri. Le scuole calcio sono serbatoi per le scarse risorse finanziarie delle società e per cullare il sogno di tirare su il campioncino.
E così selezione, costi, agonismo diventano elementi con cui tanti bambini fanno i conti anche se vogliono solo correre dietro a un pallone.
Il cardinale Betori ai vertici del Coni regionale ha ricordato, giustamente, il suo cruccio per la concomitanza di manifestazioni sportive con messa e catechismo domenicale. Un modo per dare un cartellino giallo all’esasperazione di campionati e risultati. Il direttore della Madonnina del Grappa, don Vincenzo rilancia sottolineando che lo sport senza i suoi valori fondanti è senza futuro. Quest’anno è l’anno delle Olimpiadi. Almeno riflettiamoci. I buoni esempi non sempre sono destinati a rimanere isolati.