«Se fossi stata una persona fragile, avrei potuto compiere gesti estremi». Ilaria Capua, virologa e ricercatrice di fama mondiale, già parlamentare di Scelta civica, è stata al centro di una vicenda giudiziaria che ha dell’incredibile. Nel 2014 ha rischiato addirittura l’ergastolo perché accusata di una sfilza di reati mostruosi: diffusione di ceppi d’influenza aviaria per guadagnare dalla vendita dei vaccini, associazione per delinquere, corruzione, falso ideologico, concussione, abuso d’ufficio e collusione con le aziende farmaceutiche. Dopo due anni, è stata prosciolta: «Il fatto non sussiste».
Quanto l’ha cambiata la sua odissea giudiziaria?
«Mi ha travolta anche se non parlo di malagiustizia perché alla fine sono stata prosciolta. Ma di amara giustizia. Amara perché mi ha portato, a 50 anni, a lasciare l’Italia, a spezzare il cuore di mia madre che si avvicina agli 80 anni e voleva figlia e nipoti vicini».
Dopo l’inchiesta ha preferito cambiare aria?
«Mi sono trasferita in Florida, dirigo un centro di eccellenza. La cosa curiosa: firmai il contratto quando ero ancora imputata».
Che cosa ricorda della famosa copertina dell’Espresso, ‘Trafficanti di virus’?
«Ho letto l’inchiesta di Lirio Abbate e le mie intercettazioni prima di sapere di essere indagata per questi reati. Lo trovo un grande abuso, una violenza. Io ho appreso dall’Espresso di rischiare l’ergastolo per reato di epidemia. L’avviso di conclusione indagini mi arrivò due mesi e mezzo dopo».
Poi c’è il tema intercettazioni, tornato in primo piano dopo la telefonata di Renzi al padre.
«Mi sono sembrate del tutto inappropriate. Usare le intercettazioni all’interno di rapporti familiari è un colpo basso. Si gioca sul morboso».
Capitò anche a lei?
«Purtroppo sì. Mio padre era morto poco prima dell’articolo dell’Espresso. Leggere le nostre conversazioni sul giornale fu devastante».
In seguito a questo calvario giudiziario lasciò anche il Parlamento.
«Sì, mi dimisi dalla Camera per rispetto nei confronti degli elettori. Avevo talmente tanti capi d’accusa… Per dire, io rischiavo il carcere a vita, Buzzi e Carminati una ventina di anni».
I suoi rapporti amicali e familiari ne risentirono della vicenda giudiziaria?
«Eccome. Quando ti capita una cosa del genere sei trattata come un’appestata. Molti amici o pseudo amici si defilano. Sei ostaggio della giustizia e ti rubano un pezzo di vita».
Lei ha anche scritto un libro: ‘Io, trafficante di virus’ (Rizzoli). Per quale obiettivo?
«Può succedere a tutti di finire in questo incubo. Per questo vorrei dar voce a tutte le persone innocenti accusate ingiustamente. Nel mio caso, quello che emerge prepotentemente, è che le indagini andarono avanti anni, i presunti reati erano stati commessi fra il dal 1999 e il 2007. Poi nel 2014 venne fuori questo dossier. Ancora aspetto questa risposta: se credi che sia criminale già nel 2006 perché lasciarmi a piede libero tutti quegli anni? E per contro se non c’erano gli estremi per un reato punibile con l’ergastolo, perché inserirlo nei capi d’accusa? Per bruciare qualche anno della mia vita? Bill Gates sostiene che «Ogni vita ha valore uguale», quando si parla di diritto alla salute. Questo dovrebbe valere anche per la giustizia. Non siamo un nome e un cognome in un fascicolo e meritiamo rispetto. Basta gogna prima di accertarsi della colpevolezza. Le vite sono vere, a differenza delle fake news».

Rosalba Carbutti

INTERVISTA uscita il 19 maggio 2017

Twitter: @rosalbacarbutti

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