ORA POSSIAMO dirlo: siamo finalmente un Paese normale. C’è voluto tempo, certo, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Siamo come gli altri. Forse meglio. Partiamo dalla politica. Fino al primo di agosto ci reggevamo su tre solidi pilastri. Un partito senza leader, il Pd. Un leader senza partito, il Pdl. Un movimento senza bussola, i 5Stelle. Adesso, abbiamo fatto un altro passo in avanti verso la normalità. Il leader del centro destra, quello senza partito, ma fornito di un enorme gruppo mediatico , è di fatto in galera. Fuori gioco. Normale. In tutto il mondo le prigioni sono piene di premier ed ex premier. Così il dibattito si fa ancora più pacato, costruttivo. Il governo si consolida, Napolitano si gode le vacanze. Al massimo, qualcuno evoca la guerra civile, e gli oppositori gridano all’eversione. Normale dialettica. E quando si voterà, lo si farà in un clima disteso, tra avversari politici, non tra nemici. Normale.

E visto che parliamo di politica, beh, come non rendere merito ai partiti per il loro impegno verso il bene comune, ad esempio in materia di credito. Voi direte: normale. Vero. Ma quando si legge dai verbali dell’inchiesta senese del puntiglio, del metodo, dell’applicazione con cui il Pd (con sponda Pdl) ha gestito e distribuito le cariche negli anni grassi (e sciagurati) del Monte dei Paschi, siamo addirittura oltre la normalità. Non una poltrona, non una sedia, non uno strapuntino buttato via. Non un posto scelto con altra logica che quella della tessera. Normale. Con i normali risultati che una squadra di questa caratura poteva dare. È vero, adesso è un momento brutto, anormale: ci sono dei manager veri al vertice della banca e per la Fondazione gira un nome di prestigio (Pizzetti). Ma se la politica riuscirà a far entrare nell’azionariato della banca lo Stato invece dei privati, si potrà tornare alla bella normalità di una volta. Forza, potete farcela.

La macchina della pubblica amministrazione, invece, ce l’ha già fatta. Dobbiamo dire grazie alla nostra burocrazia. Che per noi cittadini si fa in quattro, a volte in otto, spesso in dodici. Nel senso che dove servirebbe una sola pratica, un solo passaggio, un ufficio, ne sbucano a decine. Perché le cose siano fatte con calma, nel nostro interesse. Normale, certo. Più che normale. Come, talvolta, l’operato di una magistratura attenta, tempestiva. Sul caso dell’Ilva di Taranto, ad esempio, dove qualche decina di migliaia di persone rischiavano di prendere tutti i mesi uno stipendio. Meglio dire basta, spegnere i forni. In modo da non rischiare più di morire di tumore (rischio reale), ma mettendosi nelle condizioni di morire di fame (rischio altrettanto reale). Bravi. E poi la grande lezione di normalità del processo Mediaset. In cui si è smentita la lentezza della giustizia, capace in questo caso di chiudere in pochi mesi i tre gradi di giudizio. E se ce n’erano quattro, si lavorava anche a ferragosto. Ma soprattutto di confermare che siamo tutti uguali davanti alla legge. E Berlusconi addirittura un po’ più uguale degli altri. Insomma, mentre si intravedono i primi, blandi segnali di ripresa, il Paese si presenta a se stesso e al mondo nel migliore dei modi. Saldo, compatto. Un Paese normale. O no?