Esiste una teoria secondo cui tra noi e Barack Obama, tra noi e Samantha Cristoforetti, tra noi e Cristiano Ronaldo ecc., ecc., esistano solo sei gradi di separazione.
A dire il vero, però, quando si tratta di noi e di quei Terminator in FootJoy del Tour, ai golfisti da19sima buca pare che i gradi di separazione salgano persino a venti.
Saranno quelle balistiche per noi impossibili, saranno quei bicipiti scolpiti che guizzano dalle maniche corte, saranno quei drive che sverniciano la pallina a ogni impatto, sarà quel che sarà, ma a noi questi giocatori forgiati nell’acciaio extra stiff paiono davvero irraggiungibili. Poi però arriva uno come Zach Johnson, uno col fisico minuto e mingherlino, uno con la faccia un po’ così, uno che le 300 yards dal tee non se le sogna nemmeno con lo Xanax calato in corpo, ecco, arriva uno così a vincere l’Open Championship a Saint Andrews e il golfista da 19sima buca si rimette in pace con se stesso. E comincia a pensare che sì, lo swing conterà anche tanto, per carità, il fisico pure, ma che forse saper approcciare e pattare come un cecchino ceceno di stanza a Grozny, beh, forse conta tanto anche quello. E non solo: osservando Zach, intuisce anche il nostro golfista da bar, che se sei capace di venir fuori dalla gabbia delle tue paure e dei tuoi limiti, se sei in grado di contrastare con spavalda opposizione la logica del più forte, se riesci a credere nella bontà della tua professionalità, e non ultimo, se puoi medicarti da solo le ulcere da stress che ti verranno in campo, ecco, allora puoi sperare anche tu di diventare un grande. Ma capisce anche il nostro amico golfista che per ottenere tutto questo, devi innanzi tutto avere la forza di essere aperto e fiducioso senza alcuna forma di difesa. E che tutte queste qualità sono conseguenze dirette di un Io con una buona opinione di se stesso e con una stabile identità. Ed è in quell’istante di lucida consapevolezza che il golfista da bar dedica un applauso sincero a Zach Johnson, generoso neo Open Champion, e poi si ordina un’altra birra. Sei gradi di separazione? Ma per favore: sono sempre e comunque almeno venti.