Il ventennio tigeresco e l’alba dell’era roryana hanno tratto in inganno: davanti allo strapotere muscolare di due atleti che sverniciano la pallina a ogni drive stellare che lanciano per aria, le 300 yards e più dal tee sono parse a tutti il nuovo punto fermo da cui partire quando si è a caccia del campione di razza capace di sostituire al vertice delle classifiche i due di cui sopra.
Ora: Bubba Watson e Dustin Johnson sono solo due dei nomi che negli anni gli scribi del golf annotavano sui loro taccuini quando c’era da inventarsi un avversario degno di nota. Gente che gioca a gas aperto, con la palla che viaggia per aria manco fosse Snoopy One, il dirigibile delle riprese tv.
Poi, l’eccezione. Quel punto che inquina una perfetta sequenza statistica: Jordan Spieth. Il ragazzino che da Dustin Johnson si prende una cannonata di metri, mette in coda per tre con il resto di due tutti gli idolatrati bombaroli. I suoi due major di fila e una quasi Claret Jug dimostrano ancora una volta il vecchio adagio: la potenza è nulla senza il controllo.
Le 290 yards di media del texano contro le 318 di Dustino segnano un deficit di distanza a sfavore di Giordano di 28 yards (26 metri circa), che, tradotte in chiave golfistica, significano 2/3 ferri di differenza tra i due nei colpi al green. Non c’è bisogno di essere ingegneri nucleari per intuire che attaccare una bandiera con un ferro 8 è molto più agevole che farlo con un ferro 6: il volo di palla più verticale permette infatti di atterrare in souplesse anche in zone di green piccole come francobolli e difese come il lato B di Kim Kardashian.
Eppure… eppure: 1) la media score di Giordano di 68,83 colpi è migliore di quasi una lunghezza rispetto a quella di Dustino; 2) pur tirando da più indietro, i green centrati dal texano sono più numerosi di quelli di Johnson; 3) nonostante colpisca più green, ogni 18 buche Spieth -uno che è dotato di un putt di origine controllata senza data di scadenza- somma un putt in meno del suo collega lungagnone.
Morale: il ragazzino si porta a casa i titoli Slam, il bombarolo solo piazzamenti (di extralusso, ma comunque piazzamenti). E, come se non bastasse, Giordano vince e domina mostrando un golf che (apparentemente) pare avvincente come una riunione di condominio, un golf senza frizzi, senza lazzi, senza quegli spruzzi di gioco tigeresco che tanto piacevano e piacciono agli aficionados.
Un golf insomma che pare essere come la Coca Cola: una bevanda che piace a tutti, ma che nessuno sa di cosa è fatta. Perché proprio così è il golf di Giordano: un meraviglioso pacchetto regalo di cui nessuno riesce a capire il contenuto. Ma solo perché la qualità numero uno del texano è invisibile agli occhi umani: è la sua incrollabile e infinita autodeterminazione a salvarsi. Sempre.