Ok: Jason Day ha ri-vinto. Ri-dominato. Ri-distrutto campo e avversari pure al Barclays, dopo averli annientati in Canada e al Pga Championship.
Bene, bravo, anzi bravissimo.
Un caterpillar, dunque, l’australiano, che da oggi va insidiare il dualismo Rory-Giordano in cima al mondo: potrebbe salire sul trono già dalla prossima settimana, sempre che non gli prenda inaspettato un altro attacco di vertigini: si sa, da lassù la vista può giocare brutti scherzi.
Vedremo.
Perdonatemi, però, se nel frattempo mi permetto di scrivere: uffa che barba, uffa che noia.
Voglio dire: Giasone è perfetto. La perfetta incarnazione in terra del campione 3.0: fisico perfetto, swing perfetto, drive perfetto, velocità perfetta, controllo perfetto, curve perfette, ferri perfetti, putt perfetto.
Tutto in lui è perfetto. Ma si sa: se la perfezione è facile da ammirare, è difficile da amare. Perché la perfezione ha un grave difetto: ha la tendenza ad essere noiosa come un piatto di verdure bollite. È avvincente come una riunione di condominio, eccitante come un brodino di porri il venerdi sera. E infatti, dove si riassume tutto il pathos del gioco se non in talenti professionali che all’improvviso paiono sparire dalle mani dei campioni, per poi rifiorire due buche più tardi in un inatteso colpo di magia che risulta decisivo? E ancora: dove sta tutta l’emozione di un giro se non in salvataggi dalle foreste ai perimetri del campo che ci vorrebbero squadre intere di Rescue Force per venirne a capo?
Ecco dunque ciò che manca a Giasone: un difetto. Come infatti giustamente sosterrebbe Karl Kraus, per essere davvero perfetto a Vertigo Day manca solo un difetto.
In questo scenario, l’unica consapevolezza che mi terrà ancora incollata alle prossime dirette golfistiche è sapere quanto sia difficile mantenersi a lungo sul crinale di gioco che l’australiano ha messo in mostra recentemente: per legge naturale ciò che non può progredire, alla lunga regredisce. Ed è proprio lì che Rory e Giordano Spiethato sono ad attenderlo: nel primo rough a sinistra.